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Sono davvero tanti i corpi che si sono dovuti identificare in quasi 80 giorni di attacchi aerei e di terra lanciati dall’esercito israeliano. 20,057 in gran parte civili secondo i dati diffusi ieri dal ministero della sanità a Gaza. Contarli diventa sempre più difficile a causa della chiusura di ospedali e centri sanitari, mentre Israele continua a respingere le cifre del ministero di Gaza che descrive come una «struttura di Hamas» che non fa distinzione tra civili e combattenti morti. Eppure, quei dati sono raccolti da un centro informazioni centrale che utilizza un sistema computerizzato fornito dall’Oms. Dall’inizio di dicembre, il ministero non è stato più in grado di ottenere rapporti regolari dagli obitori degli ospedali nel nord di Gaza a causa dell’offensiva israeliana. Per questa ragione si ritiene non «gonfiato» ma al contrario sottostimato il bilancio di morti. Da qualche settimana accademici e volontari di tutta Europa, Stati uniti, India e dell’organizzazione Airwars lavorano per analizzare i dati forniti dal ministero della sanità di Gaza e determinare il numero delle vittime civili. La ricercatrice Zeina Jamaluddine, che collabora con la rivista medica Lancet, ha detto alla Reuters che «Sebbene nessun dato sia perfetto al 100%, la Palestina dispone di numeri di alta affidabilità».

Se Israele mette in dubbio la credibilità del bilancio delle vittime fornito dai palestinesi – altrettanto fece a fine ottobre Joe Biden – allo stesso tempo destano perplessità alcune delle versioni date dal suo esercito su quanto è accaduto e accade a Gaza. Un’inchiesta svolta dal quotidiano statunitense Washington Post, afferma che le prove presentate da Israele prima e dopo il suo attacco all’ospedale Shifa di Gaza, non abbiano dimostrato che Hamas usasse l’ospedale per le sue attività e che sotto la struttura sanitaria si trovasse una base vera e propria del movimento islamico. Il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, è stato molto impegnato a giustificare l’assedio allo Shifa con la presenza di un centro di comando direttamente accessibile dell’ospedale. Israele ha anche presentato foto e video relativi al presunto ritrovamento di armi e al passaggio nell’ospedale di alcuni dei civili rapiti da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre. Nonostante ciò, sottolinea il Washington Post, nessuno dei materiali diffusi da Israele dimostra che Hamas utilizzasse lo Shifa come centro di comando e controllo. Un’indagine svolta da un altro importante quotidiano Usa, il New York Times, inoltre denuncia che «Israele ha bombardato anche aree che dovevano essere sicure per i civili». E l’ha fatto, afferma il giornale, con bombe potenti e altamente distruttive. «L’indagine video si concentra sull’uso di bombe di oltre 900 chilogrammi in un’area del sud di Gaza dove Israele aveva ordinato ai civili di spostarsi», scrive il Nyt.

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Un ordine simile è giunto agli abitanti di Al Burej già preso di mira dai carri armati israeliani giunti ieri alla periferia orientale del campo profughi. Le forze israeliane cominciano ora a spingersi in profondità nell’area edificata dove vivono o vivevano decine di migliaia di rifugiati della Nakba nel 1948. In quella stessa zona, a Johr a Dik, lo Stato ebraico afferma di aver distrutto rampe di lancio di razzi. Pesanti bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei sono avvenuti, ancora una volta, su Jabaliya nel nord – 90 morti e 100 feriti – dove, riferiscono testimoni, combattenti di Hamas continuano ad opporsi a soldati e mezzi corazzati causando perdite alle forze israeliane. Israele ieri ha comunicato che da fine ottobre, quando è cominciata l’offensiva di terra, ha perduto in combattimento 139 militari. Attacchi aerei hanno colpito di nuovo Khan Yunis e Rafah. Filmati condivisi sui social mostrano corpi sparsi per strada e alcuni sepolti sotto le macerie attorno all’ospedale indonesiano di Beit Lahiya.

Per i civili palestinesi le speranze di una fine in tempi brevi della guerra sono minime di fronte al blando testo della risoluzione approvata ieri dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu che, a causa delle pressioni Usa, non chiede come si sperava il cessate il fuoco immediato e permanente ma prevede solo maggiori aiuti umanitari per Gaza. Sono fermi anche i colloqui indiretti, attraverso Qatar ed Egitto, tra Israele e Hamas per scambi tra i 128 ostaggi israeliani a Gaza e i prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele. Save the Children avverte che la situazione a Gaza sta spingendo bambini e famiglie intere verso la carestia, specie nel nord dove non riesce ad arrivare quasi nessun aiuto umanitario.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto