La Guantanamo israeliana: 7 i morti in cella, aggressioni con i cani, abusi sessuali

La Guantanamo israeliana: 7 i morti in cella, aggressioni con i cani, abusi sessuali

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Da Human Rights Watch ad Haaretz, crescono le denunce di abusi dentro le prigioni israeliane: «Come Guantanamo». Il caso dei lavoratori di Gaza

 

«Abdel Rahman Bassem Al-Bahsh, 23 anni di Nablus, è il primo martire del 2024 e il settimo prigioniero assassinato nelle carceri israeliane dal 7 ottobre», scrivono in una dichiarazione congiunta la Commissione per gli Affari dei Prigionieri e il Club dei Prigionieri Palestinesi (Pps).

«SI CONOSCE la sorte di questi sette martiri – ha detto Qaddoura Fares, portavoce della Commissione – ma sono centinaia le testimonianze di violenze e torture che arrivano da tutte le prigioni, con il dubbio di altre vittime di cui non si sa più nulla».

Secondo le due organizzazioni palestinesi, l’uccisione di Al-Bahsh è avvenuta «contemporaneamente alla morte di un numero imprecisato di detenuti di Gaza nel campo di Sde Teman», denominato «la Guantanamo israeliana» – che detiene oltre 3mila civili scomparsi nei rastrellamenti a Gaza – per la brutalità «delle violenze e delle esecuzioni sommarie» descritte dall’ong Euro-Med Human Rights Monitor.

Anche Human Rights Watch (Hrw) ieri ha denunciato la «detenzione illegittima di migliaia di lavoratori di Gaza, senza alcuna accusa specifica», sottoposti «a maltrattamenti umilianti, pestaggi e torture». Aggressioni con i cani, cibo lanciato a terra e calpestato dalle guardie, pestaggi di detenuti nudi e legati.

Michelle Randhawa, responsabile di Hrw, ha commentato: la «ricerca dei combattenti di Hamas non giustifica gli abusi sui lavoratori a cui era stato concesso il permesso di lavorare in Israele», precisando di non aver ricevuto «risposta dalle autorità israeliane circa la loro sorte». Secondo Hrw sembra che Israele non abbia «più linee rosse» nei maltrattamenti ai prigionieri palestinesi. E le testimonianze di quelli rilasciati durante la tregua ne sono una conferma. Riguardano tutte le carceri: Megiddo, Gilboa, Ofer, Beersheba e Damon in particolare.

CONFERMA ARRIVA anche dal quotidiano israeliano Haaretz che riporta di «aggressioni, umiliazioni e violenze continue nei confronti di tutti i prigionieri: uomini, donne e minori», con denunce ignorate dai funzionari del servizio carcerario israeliano. Ruqayah Amra, una delle prigioniere palestinesi rilasciate nello scambio del mese scorso, ha detto che «le donne vengono picchiate o toccate nelle parti intime nei bagni della prigione e costantemente minacciate di violenza sessuale dalle guardie carcerarie».

Sulle denunce delle detenute – oltre 200 – stava lavorando l’attivista e deputata del Fronte Popolare della Liberazione della Palestina (sinistra palestinese), arrestata il 26 dicembre, per la quarta volta, dalle autorità israeliane perché «appartenente a un’organizzazione terrorista» e «propaganda sovversiva».

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Mahmoud Katnani, altro prigioniero liberato, ha confermato le «quotidiane incursioni dei reparti antisommossa nelle sezioni, con il lancio di granate nelle celle e pestaggi» e l’utilizzo di numerose misure punitive: celle sovraffollate con oltre 25 detenuti, mancanza di acqua, elettricità e cibo o la negazione di cure per i detenuti malati.

Secondo l’ong israeliana HaMoked, l’uso sistematico della violenza nelle carceri segue le «direttive» del ministro per la sicurezza nazionale Ben Gvir, che ha dato precise indicazioni per «vendicarsi contro i prigionieri palestinesi», fino a dire pubblicamente che «per ogni giorno trascorso senza il rilascio di un prigioniero israeliano, un detenuto palestinese dovrebbe essere giustiziato».

DAL 7 OTTOBRE il numero dei prigionieri palestinesi è salito a oltre 7mila, con 2mila in detenzione amministrativa, senza accusa né processo. La morte di Al-Bahsh porta a 244 il numero dei prigionieri uccisi nelle carceri israeliane dal 1967.

* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto

 

 

ph by Physicians for Human Rights – Israel, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons



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