Le molte incognite del conflitto libico

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Saremmo disposti a condurre un’eventuale seconda fase della guerra, stavolta terrestre? Certo, si può sperare che il regime crolli per il solo effetto dello sgomento causato da un bombardamento a tappeto. Ma l’esperienza dimostra che a volte non è così. In questo caso, che fare? Continuare a bombardare, con il rischio di provocare massacri di civili usati come scudo umano, e di attirarsi lo sdegno dell’opinione pubblica araba contro un Occidente presentato come invasore – e lo dimostra il primo scarto della Lega araba? Spedire truppe a occupare le città  e a combattere per le strade? Queste soluzioni sono entrambe autorizzate dalla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, senza che nessuno dei parlamenti interessati sia stato chiamato a dare il proprio accordo. Siamo pronti a occuparci della pace? La Storia insegna che una vittoria è veramente tale solo se la pace è stata preparata mentre la guerra era ancora in corso. Non fu così per la prima guerra mondiale, e solo in parte per la seconda. Men che meno nel caso del Vietnam, o in quelli più recenti delle guerre in Afganistan e in Iraq – con le conseguenze disastrose che sappiamo. C’è da chiedersi se oggi abbiamo la benché minima idea di ciò che sarà  la Libia dopo la guerra. Uno Stato unificato? Una federazione? Vedremo la Cirenaica ottenere l’indipendenza per mantenerla soltanto grazie alla presenza di truppe occidentali? Anche se Gheddafi sarà  cacciato dal potere, gli Stati liberatori avranno i mezzi per ricostruire il Paese? E’ difficile crederlo quando si vedono questi stessi Stati lesinare gli aiuti all’Egitto o alla Tunisia. Peraltro, paradossalmente, i tre Paesi di punta nella battaglia aerea contro Gheddafi (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) sono economicamente rovinati, con tassi di disoccupazione record. Anche se avessero i mezzi per vincere la guerra, non avranno mai quelli necessari per vincere la pace. Mentre i Paesi più ricchi (Russia, Cina, Germania, Arabia Saudita) si sono saggiamente tenuti in disparte. Tutto ciò può condurre solo a un ulteriore discredito del dollaro e dell’euro, e in senso lato di tutto l’Occidente e dei suoi valori, nel cui nome questi Paesi si sono liberati. Perché prendere di mira quell’orrendo dittatore che massacra la sua popolazione, ma non gli altri tre che nello stesso momento fanno altrettanto, a Sanaa, a Manama e ad Abidjan? D’altra parte, chi mai conosce i nomi di Hamad ibn Isa al-Khalifa, re dei Bahrein, o di Ali Abdallah al-Saleh, presidente dello Yemen, non meno criminali di Muammad Gheddafi o di Laurent Gbagbo? Come mai tutti i media ne denunciano uno solo, e ignorano gli altri? Perché si pensa che Gheddafi possa essere sloggiato senza danni collaterali – cosa del resto tutt’altro che certa. Un buon giocatore di scacchi deve saper prevedere un certo numero di mosse: ma a quanto pare non è questa la dote principale di chi ha scatenato il conflitto in atto. Decisamente, Clémenceau aveva ragione nel dire che la guerra è una cosa troppo grave per essere affidata ai militari. Ma certo non bisognerebbe neppure lasciarla in mano ai diplomatici. (Traduzione di Elisabetta Horvat)


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