Insulti ad Abiola, il basket scopre il razzismo da stadio Cori e sputi dalle tribune di Como

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Una quindicina, non di più, ma abbastanza per buttare fango su uno sport che già  vive di fragilissimi equilibri. Mercoledì sera: il luogo è il Palacasnate, alle porte di Como, casa della Pool Comense; la partita è gara 2 dei quarti di finale dei playoff scudetto con il Bracco Geas di Sesto San Giovanni: È il derby lombardo, una classica. Per capirci: in campo ci sono 23 scudetti, 3 Coppe Campioni, 6 Coppe Italia e 6 Supercoppe italiane. In campo, con la maglia rossonera del Geas, c’è anche una ragazza, nata a Parma 29 anni fa, maturità  scientifica nella città  emiliana poi laurea in Texas, college di Baylor. Con Baylor ha conquistato il titolo Ncaa, il campionato universitario Usa. Questa giocatrice con la passione per la pittura (i suoi quadri sono esposti in gallerie prestigiose) ha fatto esperienza in Europa, giocando in Israele e in Spagna prima di tornare nel Paese di nascita e diventare uno dei punti di forza del Geas, e della nazionale. Piccolo particolare: la ragazza, dall’inconfondibile cadenza emiliana, si chiama Abiola Wabara, e i suoi genitori sono originari della Nigeria. Sì, insomma, è di colore. E questo ai 15 idioti proprio non va giù, secondo la demenziale teoria da curva del «non esistono negri italiani» . Così, quando la partita per la squadra di casa si mette male, gli idioti di cui sopra prendono di mira Abiola. Non sono tifosi abituali della Comense, così pare, piuttosto tipici ultrà  da stadio che in assenza di partite di pallone hanno scelto un palasport del basket per esibirsi. Non è un’attenuante. Partono i cori, partono gli insulti: «scimmia» , il termine più gettonato, oppure il classico «negra» accompagnato da epiteti di ogni genere. Saranno anche 15, ma nessuno fa nulla per fermarli. In campo Wabara gioca con una determinazione fuori dall’ordinario, mette a segno 15 punti, a partita vinta strappa letteralmente la palla dalle mani della sua playmaker e infila sulla sirena il tiro da 3 che chiude il risultato sul 65-75, poi parte decisa verso il settore dove gli idioti stavano infrattati, impegnati a coniare slogan irripetibili. Viene trattenuta a forza dalle compagne e accompagnata negli spogliatoi, bersagliata da sputi e dai «soliti» insulti razzisti. Il dopo è soprattutto imbarazzo. A fine partita gli arbitri assicurano a Valter Montini, coach sestese, che quanto è successo verrà  scritto a referto, ma nelle decisioni del giudice sportivo non c’è traccia dell’accaduto. Nessuna sanzione. Il presidente del Geas, Mario Mazzoleni, prova a gettare acqua sul fuoco, dichiarando che «il comportamento di un gruppetto di persone non può gettare discredito su un pubblico, quello di Como, assolutamente corretto» . Ha ragione. Brilla però per silenzio la società  Comense, il cui presidente Antonio Pennestrì incidentalmente è pure il presidente della Lega basket femminile. Così a prendere le difese di Abiola deve pensarci Dino Meneghin, il numero 1 della federbasket, che alza il telefono e offre solidarietà  alla ragazza: «Non demoralizzarti, tieni duro» le dice. E aggiunge: «Sono dei mentecatti. Non fanno parte del pubblico abituale della Pool Comense e della pallacanestro in generale. Il nostro sport è sempre stato caratterizzato dalla multirazzialità  e grazie a questa è cresciuto e si è affermato» . Lei, Abiola, ha già  cancellato la cosa. Pensa già  alla bella di domani, dove forse sarà  il caso che, anche se si tratta di basket femminile, le forze dell’ordine siano presenti. E paradossalmente chiede scusa: «Mi spiace per il tentativo di reazione ma a tutto c’è un limite: è davvero triste vedere uomini adulti che prendono di mira e insultano una donna, sfociando poi nel razzismo più bieco» . Uomini adulti?


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