Virtù e problemi di una metropoli vera

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«A mezzogiorno tutto il Nord è a Milano» . È solo una battuta, è di quelle che gli studiosi usano come fermo immagine delle loro ricerche ed è utile per aiutarci a cambiare paradigma. Si sente spesso raccontare come Milano sia una città  stanca, prigioniera delle sue ambizioni mai realizzate e a sostegno di questa tesi vengono portati soprattutto due argomenti, i ritardi della politica (Expo docet) e il calo di motivazione della tradizionale borghesia ambrosiana. Ma davvero la politica e l’alta finanza sono ancora la A e la Z di Milano? Che i sogni della città  siano rimasti nel cassetto è certamente vero, non è riuscita a diventare quella metropoli del terziario europeo che avrebbe potuto essere ma oggi più che recriminare conviene tentare di riscrivere la mappa delle relazioni socio-economiche, collocare la città  dentro il «suo» Nord, operare un bilancio meditato del grado di internazionalizzazione, capire come si può affrontare ilmacro-fenomeno del pendolarismo giornaliero. Per quanto riguarda, poi, il sistema delle imprese un test del mutamento viene da un’indagine che sta portando a termine la Camera di Commercio. Sono poche le aziende che erano nella classifica delle prime 70 nel ’ 90 e sono riuscite a restare nella lista compilata con i dati 2010. Dicevamo della centralità  di Milano nel sistema Nord. È vero che alcuni territori, segnatamente il Veneto e in qualche misura l’Emilia stanno cercando di dotarsi essi stessi di reti lunghe, ma per tutta una serie di funzioni terziarie le imprese dei territori sono obbligate «a mezzogiorno» a venire a Milano. È facile pensare innanzitutto al ruolo delle grandi banche che di fatto «governano» più o meno indirettamente un pezzo non trascurabile del sistema industriale. Se le crisi aziendali che arrivano alla fase terminale vengono curate a Roma, al ministero dello Sviluppo economico, dalle banche milanesi passano i dossier che riguardano ristrutturazioni del debito, aggregazioni, passaggi generazionali, ipotesi di radicamento su nuovi mercati. Discutendo di tutto ciò su Milano si genera un flusso di informazioni vitali che va a comporre il nuovo software dei rapporti tra economia reale e sistema bancario. Basta del resto vedere come la competizione tra i grandi del credito si sia spostata dal retail alla capacità  di monitorare i distretti, di compattare le filiere, di fare supplenza di politica industriale. Il Nord che si rivolge a Milano per comprare i servizi della creatività  e della consulenza, non sempre però ne ricava l’impressione di essere trattato bene, c’è ancora un conflitto di culture centro/periferia che non ha permesso di dispiegare tutte le potenzialità . In parole povere quella che è (anche) una rendita di posizione geo-economica non si è trasformata ancora in una proposta di integrazione. E se questa considerazione vale per le reti immateriali è tanto più evidente per le connessioni infrastrutturali. La centralità  di Milano (un terzo delle importazioni italiane transita da qui) ha bisogno che alcuni nodi come il collegamento con il Gottardo e quello con la portualità  di Genova vengano sciolti. Nonostante la sensazione di ritardo il grado di connessione tra Milano e il mondo è andato comunque silenziosamente avanti. Da un punto di vista commerciale è un luogo in cui tutti vogliono esserci, dallo store Apple alle grandi catene dell’abbigliamento come Gap e Banana Republic, Zara poi si vanta addirittura di aver sotto il Duomo il negozio più redditizio del mondo. Per un player della distribuzione di vestiti misurarsi su Milano è come per un tennista giocare a Wimbledon. Male che vada si impara, si fa esperienza. E anche in materia di e-commerce si cominciano ad avere esperienze di successo. È evidente che non in tutti i settori è così, in alcuni abbiamo anche assistito a episodi di colonizzazione, di intervento di capitali stranieri finalizzati a una mera occupazione del mercato. In campo logistico le acquisizioni straniere non si contano più e anche nel terziario delle professioni e della creatività  il trend è stato grosso modo simile. Il guaio è che i capitali stranieri non sempre hanno contribuito a far crescere di valore la piazza milanese. Se hai un brand forte è tutto sommato secondaria la nazionalità  dell’azionista, in caso contrario conta eccome. Per contro un esempio sicuramente virtuoso e guidato da operatori italiani è il Salone del Mobile, dove la saldatura tra radicamento territoriale e glamour metropolitano è perfetta con risultati di primordine in termini di inserimento nei circuiti globali. Un settore che deve esprimere ancora le sue potenzialità  di internazionalizzazione è la sanità . Oggi i servizi milanesi di eccellenza hanno un mercato quasi esclusivamente italiano: vengono da fuori Regione tra il 30 e il 50%dei pazienti delle strutture milanesi d’avanguardia. In parallelo se il processo di equiparazione agli standard mondiali è andato avanti in maniera ordinata e continuativa, manca ancora la capacità  di rivolgersi con altrettanto metodo al mercato europeo. Infine i pendolari. Di giorno Milano ha una popolazione valutabile attorno ai 2,2 milioni di persone ma 900 mila la sera se ne vanno. La conseguenza è che i treni locali sono pieni come uova e le tangenziali attorno alla città  sono quasi sempre intasate, che gli spostamenti da/per Varese, Lecco o Bergamo non sono facilmente programmabili. Ormai anche da Torino e da Bologna si comincia a pendolare quotidianamente. Preso tutto assieme il fenomeno produce diseconomie e davanti alla minima discontinuità  (tempo, incidenti, agitazioni sindacali) tutto il sistema dei collegamenti della Grande Milano va in tilt. Forse se gli enti locali detenessero qualche municipalizzata in meno e investissero in infrastrutture i vantaggi sarebbero doppi.


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