“Manovre da 46 miliardi per frenare il debito”

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ROMA – E’ un’istantanea a fosche tinte quella scattata ieri dalla Corte dei conti sullo stato dell’economia italiana e sui sacrifici che ci attendono. Mentre il ministro dell’Economia Tremonti critica l’Istat e attacca Montezemolo.

La grande recessione del biennio 2008-2009 ci ha lasciato in eredità  una «perdita permanente» del Pil di 160 miliardi. La nuova «regola del debito» in vigore in Europa, che prevede la riduzione di un ventesimo l’anno della differenza tra il debito e il target del 60 per cento del Pil, ci costringerà  ad un intervento pari a 46 miliardi all’anno nel medio-lungo termine. Il primo check up dovrebbe essere nel 2016 e la proiezione della Corte dei conti – illustrata ieri nel «Rapporto 2011» al Senato dal presidente Luigi Giampaolino e da Luigi Mazzillo, alla presenza di Tremonti – prende come anno di riferimento il 2034, quando la cura da cavallo ci porterebbe ad un rapporto debito-Pil del 79 per cento.
L’obiettivo è definito dalla stessa Corte dei conti «molto impegnativo», il percorso «impervio», paragonabile a quello che nei primi Anni Novanta ci portò nell’euro. Sforzi «maggiori anche di quelli fino ad oggi accettati che renderanno impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale». La variabile – già  sottolineata dalla Banca d’Italia – è quella della crescita: senza uno sviluppo del Pil «adeguato» c’è «il rischio di effetti depressivi» e l’operazione può rivelarsi «insostenibile».
Tanto più che la Corte dei conti valuta in 60 miliardi il valore cumulato dei due decretoni estivi di Tremonti (il 112/2008 e il 78/2010) che hanno tagliato negli ultimi due anni la spesa pubblica. Interventi che nel 2010 hanno portato le spese totali e la spesa primaria a ridursi dello 0,5 per cento rispetto all’anno precedente e a scendere al 51,2 per cento del Pil (-1,3 punti rispetto al 2009).
«Forse la crescita è stata insufficiente, ma senza la tenuta del bilancio non ci sarebbe stata neppure questa crescita insufficiente», ha replicato il ministro dell’Economia. «Primum vivere, deinde crescere», ha sintetizzato Tremonti con un motto ispirato al latino e ha garantito, citando Cavour, una «strategia graduale» di riforme.
Poi il ministro è passato al contrattacco, contestando le analisi dell’Istat in base alle quali la povertà  in Italia sta crescendo. «So che ci sono i poveri, ma credo che la rappresentazione Istat sia discutibile: leggo che uno su quattro è povero ma alzi la mano chi è povero». Una sortita che ha costretto il presidente dell’Istat Enrico Giovannini ad una precisazione: «L’indicatore della povertà  è stabile al 13 per cento, mentre al 25 per cento indica i rischi di povertà  e i rischi di esclusione sociale».
Un fendente colpisce anche Montezemolo: Tremonti definisce un «calco linguistico» che porta «all’avventurismo» la posizione di coloro che evocano gli «azionisti del Paese». Pronta la risposta di Montezemolo: «Tremonti risponda ai cittadini del suo operato». Controreplica del ministro: «C’è stato un equivoco: mi riferivo al mio maitre a penser Diego Della Valle».

 


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