Agguato sulla via del mare Torna il terrore in Israele

Loading

GERUSALEMME — Guerriglia, più che terrorismo. Corpi speciali, più che martiri. «È stata una battaglia», dice il generale Yoav Mordechai. In una giornata d’allarme rosso sul Mar Rosso — quattro agguati, almeno quindici morti e una cinquantina di feriti, altri sei ammazzati nel bombardamento di risposta su Gaza, una sparatoria che sfiora perfino il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak — è in una giornata così che Israele capisce come un nuovo fronte si sia riaperto: il Sinai. Non bastavano la Cisgiordania, la Siria, il Libano, la Striscia, la minaccia iraniana. La nuova sfida arriva dal Sud. Dalla Penisola pacificata nel 1979, con l’abbraccio a Sadat, e tornata ostile negli ultimi mesi, con la caduta di Mubarak. «Questa strage conferma la debolezza egiziana nel controllo del Sinai — dice Barak —. La fonte del terrore sta a Gaza, ma il campo d’azione è in Egitto».
Gl’israeliani se l’aspettavano. Anche se non così: l’antiterrorismo era stata spostata martedì notte nel Negev, dopo una soffiata degli 007 giordani sull’imminenza d’un attacco, ma nessuno aveva previsto che dal confine Sud potessero infiltrarsi venti terroristi coordinati in tre squadre, in tuta blu, armati di mortai e anticarro, di lanciarazzi e di corpetti da kamikaze. Addestrati col cronometro alla mano. Il primo attacco a mezzogiorno, sulla strada 12. Al bus 392 che da Beersheva, 8 del mattino, aveva raccolto i soldati diretti a svacanzare sulle spiagge di Eilat. A 28 km dall’arrivo, spunta un’auto bianca. Scendono in tre coi mitra, secondo l’autista hanno divise militari egiziane: «All’inizio non ho capito che cosa stesse succedendo — racconta Idan Kaner, 20 anni —. Poi è stato il caos, ci buttavamo l’uno sull’altro per proteggerci. Qualcuno di noi s’è messo pure lui a sparare». Un paio di minuti, 14 feriti, «abbiamo avuto la sensazione che volessero salire per rapire qualcuno».
Passa mezz’ora e, quando s’alzano gli elicotteri e si muovono le teste di cuoio, il deserto è scosso da un’altra esplosione: una mina sulla strada, di quelle che s’usano in Afghanistan contro i nostri soldati, che fa saltare un gippone e ferisce diversi militari. Un’altra mezz’ora e ancora un blitz, qualche chilometro in là . Qui ci va di mezzo una famiglia israeliana che andava in gita: quattro morti, sull’auto centrata da un Rpg dei terroristi, più altri tre uccisi per un colpo di mortaio. Si scatena la caccia, tutto il Negev viene chiuso, Eilat è sigillata coi suoi turisti: due ore più tardi, sette terroristi vengono intercettati ed eliminati. Gli altri fuggono sulle rocce, salvo ricomparire al tramonto per ammazzare un agente dell’antiterrorismo israeliano, mentre Barak, nel deserto poco distante, sta parlando coi giornalisti e viene portato via di peso dalle bodyguard.
«È un attentato alla nostra sovranità  â€” dice il premier Bibi Netanyahu —. Chi ha ordinato questi attacchi, oggi è già  morto». Già : chi? Hamas, punta il dito Barak: «Non è una deduzione — spiega un portavoce del premier, Mark Regev —. È un’informazione molto, molto precisa. Attraverso il Sinai, gli attentatori sono usciti da Gaza». Cadono nel nulla le smentite degli egiziani e soprattutto di Khaled Meshaal, capo damasceno del movimento islamico, che stava al Cairo per negoziare sul sequestro del caporale Gilad Shalit, da 5 anni ostaggio nella Striscia: prima del tramonto, l’aviazione israeliana bombarda Rafah, sei morti, compresi il capo militare Kamal al-Naireb e un bambino di 9 anni. Secondo fonti del Cairo, anche un poliziotto e due soldati egiziani sono rimasti uccisi in un raid israeliano che mirava a colpire gli attentatori.
Da Gaza, la replica sono i soliti razzi, ma non è questa la principale preoccupazione di Netanyahu: il problema è che fare col Sinai. Dove qualche giorno fa è cominciata l’operazione Aquila, come l’hanno pomposamente chiamata i generali cairoti, mille soldati a snidare i qaedisti che negli ultimi mesi hanno sabotato il gasdotto egiziano-israeliano e attaccato le sedi della polizia. Nel nuovo Egitto, dicono a Gerusalemme, qualche orfano di Bin Laden ha fatto il nuovo nido. «Siamo pronti a fondare un emirato del Sinai e a imporre la sharia», ha annunciato martedì un capataz salafita: «Abbiamo 5 mila armati, migliaia di beduini che ci sostengono».
Esagerava, tranquillizza un politologo egiziano, Salah Salem. Ma nemmeno tantissimo: «Se chi comanda al Cairo non agisce presto, il rischio è che il Sinai diventi uno Stato nello Stato».


Related Articles

Tunisi, terrore e sangue attacco al museo 4 italiani tra i 22 morti

Loading

Un commando di uomini armati ha tentato l’assalto al Parlamento Poi gli spari contro un bus davanti al Bardo. Prese decine di ostaggi Le forze speciali in azione: un arrestato, due uccisi, almeno due in fuga

Il muro di Erbil impone all’Iraq i nuovi confini

Loading

Kurdistan. Una barriera di trincee e montagne di terra correrà per mille km da Sinjar alla frontiera con l’Iran: così Barzani costringerà Baghdad a negoziare su territori contesi e autonomia amministrativa

Yemen. Massacrati mentre pregavano

Loading

Quattro attentatori suicidi per quasi 140 morti e circa 350 feriti, di cui molti gravissimi. È il bilancio ancora confuso degli attacchi lanciati ieri

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment