Il «memo» segreto per colpire Al Awlaki

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Un pezzo di carta necessario per liquidare due cittadini americani passati nelle file di Al Qaeda nella penisola arabica. I funzionari della Giustizia hanno esaminato il dossier sui due militanti e hanno concluso che vi erano le condizioni richieste: l’imam rappresentava una minaccia imminente e diretta nei confronti degli Stati Uniti; le sue azioni corrispondevano ad atti di guerra. Il memorandum è stato poi rafforzato dall’ordine dello stesso presidente Obama. Il nome di Al Awlaki è finito nella lista dei terroristi che potevano essere uccisi. Con il documento riservato, i dirigenti dell’amministrazione hanno cercato di superare lo scudo legale garantito a qualsiasi cittadino statunitense. Argomenti che tuttavia non convincono le associazioni per i diritti umani e alcuni commentatori. Gli Usa — ribattono — davano la caccia da due anni all’imam, e dunque come si può parlare di «minaccia imminente»? I pragmatici — e Obama lo è diventato alla Casa Bianca — guardano al risultato. I droni funzionano, terrorizzano i terroristi, sono un’arma vincente. I risultati si sono visti nell’area tribale pachistana, ora la tattica va ripetuta ovunque ci siano santuari qaedisti e sia complicato inviare forze terrestri. Somalia e Yemen rientrano in questa categoria. Fonti della sicurezza, citate dall’esperto Steve Emerson, hanno poi fornito una ricostruzione intrigante (e tutta da verificare) su come la Cia sia riuscita a individuare Al Awlaki. Un parente dell’imam ha rivelato agli 007 l’esistenza di una ex moglie dell’estremista. La donna, che risiederebbe in Irlanda, ha accettato di collaborare, così come un altro congiunto del ricercato. Sarebbero stati loro a indicare dei contatti interessanti che la Cia e l’Nsa, l’agenzia che intercetta le comunicazioni, hanno monitorato restringendo il campo di ricerca. Poi una decina di giorni fa la svolta, con la soffiata preziosa sui movimenti di Al Awlaki. È così scattata la trappola dei droni. E l’imam, questa volta, non ha avuto scampo.


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