La doppia strategia di Marchionne, restare al tavolo con i sindacati

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Con lei i rapporti sono certo diversi. Cisl, Uil, Fismic sono i «sindacati del dialogo», i «modernisti», i «partner» che hanno consentito a Marchionne di costruire il «modello Pomigliano» e aprire, con ciò, la strada che ha portato in Italia i contratti aziendali. La Cgil è la confederazione che quei contratti non li digerisce, che ha ottenuto la postilla all’accordo interconfederale causa (secondo il Lingotto) del loro depotenziamento, che per l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler ha solo e unicamente parole dure (peraltro ricambiate). Eppure, per quanto divisi da opposte culture e — paradossalmente — da un comune antagonista di nome Maurizio Landini, se alla fine Camusso volesse parlare a Marchionne non troverebbe il telefono occupato. Né sarebbe esclusa dagli eventuali «tavoli». Gli inviti arriverebbero anche a lei. E prevedibilmente allo stesso Landini. Sebbene tutto sia nato dalla sua «guerra ideologica» (definizione del leader del Lingotto), nonostante ogni mossa di Torino punti alla neutralizzazione di chi «ci paralizzerebbe sommergendoci di ricorsi», la partita che non prevede pareggi non è certo conclusa. In quasi tutti gli stabilimenti del gruppo, quelli che il «modello Pomigliano» ancora non l’hanno introdotto (ma lo faranno), la rappresentanza Fiom rimane, è forte, e promette «lotta continua». Proprio perciò, però, per Marchionne convocare le tute blu Cgil non sarebbe solo un fastidioso atto dovuto (pena l’accusa di comportamento sindacale): avere Landini, e i suoi prevedibili no, al tavolo «prima» gli consentirebbe di escluderlo «poi». Legittimamente, in base sia all’accordo interconfederale sia, soprattutto, all’articolo 8 firmato Maurizio Sacconi. È soltanto uno degli scenari possibili, naturalmente. Tavoli e incontri, anche informali o solo con i confederali, non sono al momento previsti né per domani né per le prossime settimane. Ma resta che il filo, a Torino, continua a tenerlo in mano direttamente l’amministratore delegato. Se è vero che, uscendo da Confindustria nazionale, porta totalmente in azienda e sul territorio la contrattazione, non significa che a trattare sarà  solo e sempre il sindacato di categoria, della singola fabbrica, del singolo territorio. Meno ancora che il leader di Fiat-Chrysler, mentre a Detroit parla (e si scontra) in prima persona con il numero Uaw Bob King, qui abbia delegato in toto le relazioni industriali. È ovvio che continuerà  a essere lui, a dettare la linea alla squadra di Paolo Rebaudengo. Ed è altrettanto ovvio che ci saranno sempre questioni «nazionali». Quando per esempio toccherà  a Cassino o a Melfi ripercorrere la strada di Pomigliano, Grugliasco, Mirafiori, il tavolo sarà  sì tutto dei «tecnici». Ma ad aprirlo, con l’annuncio di obiettivi e investimenti, sarà  Marchionne. È quello che è successo fin qui. È quello che accadrà  anche domani. Forse pure questo spiega i toni tutto sommato morbidi con cui Bonanni e, soprattutto, Angeletti hanno commentato lo strappo da Confindustria. Difesa dell’accordo interconfederale, sì, e con un pesante «Fiat sbaglia» (Bonanni). Ma poi, in sostanza: «Problemi loro, l’importante per noi è la conferma degli investimenti». Sul fronte Cisl-Uil, dunque, le telefonate di domani non saranno diverse da quelle di ieri. L’incognita rimane Camusso. Difficile pensare che sarà  lei, a fare il numero del Lingotto. Ancora di più, però, immaginare il contrario: che sia Marchionne il primo a cercarla. Dopotutto, anche ieri, oltre al resto lei lo ha accusato di mentalità  «ottocentesca». Peccato sia la stessa cosa che lui dice del suo sindacato. E da molto, molto prima della sua segreteria. E di quel ritorno al tavolo con Confindustria che, il 21 settembre, ha fatto riguadagnare a Marcegaglia il consenso della Cgil. Ma facendole perdere la Fiat. E probabilmente parecchio di più.


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