Duecento miliardi in oro e azioni caccia al bottino nascosto del raìs

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NEW YORK – Duecento miliardi di dollari. È questo il “tesoro” che Muammar Gheddafi aveva nascosto nel corso degli anni (e soprattutto degli ultimi mesi) all’estero per garantirsi un futuro. Le cose sono andate diversamente, il raìs, ucciso a sangue freddo dopo essere stato catturato (ferito), non potrà  più disporre di quella straordinaria ricchezza accumulata in 42 anni di dittatura. Ma il “tesoro” rimane e su queste “spoglie” del nemico è iniziata un’altra battaglia. Che verrà  combattuta non con i kalashnikov dei ribelli, ma usando controverse leggi internazionali, avvocati, banche occidentali, regimi africani.
Duecento miliardi di dollari, quasi il doppio di quanto si fosse finora pensato. A rivelarlo (al Los Angeles Times) è stato un funzionario libico che ha potuto analizzare i documenti finanziari del dittatore: conti bancari, proprietà , azioni, oro, contanti. Duecento miliardi di dollari che equivalgono a circa trentamila dollari a testa per ogni cittadino libico, depositati all’estero mentre, come ha commentato un leader del governo provvisorio «i libici chiedevano i soldi necessari per scuole ed ospedali».
La primavera scorsa, dopo l’inizio dei bombardamenti Nato su Tripoli, il governo americano aveva “congelato” 37 miliardi di dollari che il Colonnello aveva investito negli Stati Uniti. A seguire anche Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna avevano congelato le ricchezze di Gheddafi in Europa (per altri 30 miliardi di dollari circa). In Italia il leader libico aveva investito circa cinque miliardi di dollari con partecipazioni in Unicredit (7,5 per cento), Eni (2), Juventus (7,5), Fiat (2) e Finmeccanica (2).
Durante i primi mesi della rivolta armata, che da Bengasi ha condotto i ribelli fino alla conquista di Tripoli, sia i leader del Cnt che quelli occidentali erano convinti che altri trenta/trentadue miliardi di dollari (per un totale di cento) fossero nascosti in paesi del medio oriente, del sudest asiatico e in quei paesi africani (come il Ciad, il Niger e il Mali) che erano di fatto a “libro-paga” del dittatore libico.
Nessuno poteva però immaginare che la cifra reale fosse quasi il doppio. Gran parte di questa ricchezza si trova sotto la copertura di istituzioni governative, come la Banca centrale di Libia, la Libyan Investment Authority, la Libyan Foreign Bank, la Libyan National Oil Corp e il Libya African Investment Portfolio, ma Gheddafi e la sua famiglia erano in grado di accedere liberamente a questi fondi come e quando volevano. Inoltre il raìs aveva accumulato in Libia, nascosto negli inattaccabili (allora) bunker di Tripoli, un tesoro in oro e contanti, in buona parte usato in questi mesi di guerra per comprare armi, pagare mercenari, trattenere a Tripoli dignitari tentati dalla fuga all’estero e anche per mantenere quel livello di vita da miliardari che la famiglia Gheddafi non si era fatta mai mancare (fino alla caduta di Tripoli dell’agosto scorso).
“Pecunia non olet”, per le banche e le compagnie occidentali fare affari con Gheddafi non era mai stato un problema, neanche nei momenti di maggior tensione tra il raìs e l’occidente come Lockerbie. Era lui caso mai che si vendicava nel caso in un paese fosse stato fatto qualche “torto” ai suoi familiari. È il caso della Svizzera, punita quando uno dei figli di Gheddafi venne arrestato a Ginevra per aver picchiato selvaggiamente due domestici. Per vendicare l’affronto il leader libico decise di trasferire quasi tutti i suoi “asset” svizzeri in una banca portoghese, la Caixa Geral de Depositos. Un miliardo e trecento milioni di dollari, che oggi rischiano di far fallire la banca portoghese.
Per la “nuova Libia” e i suoi dirigenti non sarà  facile recuperare questo immensa ricchezza che Gheddafi ha depredato al suo popolo in quattro decenni. I regimi africani più legati al dittatore ucciso non hanno finora congelato i suoi beni e sembrano propensi a restituirli alla famiglia (in parte) e ad usarli per la propria economia. Stati Uniti ed Europa hanno garantito che restituiranno tutto al nuovo legittimo governo, ma per il momento nelle casse esangui del Cnt sono rientrati solo 700 milioni di dollari.


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