Le donne, prime vittime della follia salafita. In Tunisia attacco ai diritti

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 TUNISI. «Dégage, dégage». Un gruppo di salafiti appostati lungo il muro della Città  delle scienze, il campus universitario dell’Ariana (Tunisi), usa lo stesso slogan dei rivoluzionari contro Ben Ali per apostrofare le donne che passano di lì. Molte arrivano per partecipare alla riunione indetta da un Forum universitario per decidere come reagire alle aggressioni degli studenti contro una docente che non porta il velo. Quello dell’Ariana non è l’unico caso, altri se ne sono già  verificati. La mobilitazione è in corso anche a Manouba, altra periferia, più povera, di Tunisi. La sala dove si tiene la riunione è stracolma e viene chiusa ai non universitari. Cerchiamo un taxi, non ne passano molti, la zona è un po’ isolata. Finalmente ne arriva uno, scendono tre barbuti, ci avviciniamo ma l’autista si rifiuta di farci salire: «Il taxi è in panne» dice e poi parte.

Se qui gli studenti aggrediscono le insegnanti senza velo, in altre città , come a Sousse e Nabel, i salafiti vogliono imporre le studentesse con il niqab. «Così non potremo nemmeno più riconoscerle», ci dice Nadjia Neji, che è venuta a Tunisi per manifestare per la difesa dei diritti delle donne. La manifestazione, indetta da un gruppo di sconosciute attraverso Facebook e sms, ha raccolto poco più di un centinaio di donne, molto agguerrite. Ieri hanno occupato il centro della piazza della Kasbah, dove ha sede il governo. La loro parola d’ordine è «una costituzione garante dei diritti della donna tunisina», sostanzialmente difendono i diritti acquisiti, mentre le associazioni di donne vogliono la parità  uomo-donna. La mancanza di sigle riconosciute sulla convocazione della manifestazione di ieri, ma anche della riunione che si è tenuta martedì al Centro culturale di al Menzah, ha suscitato molte perplessità  e dubbi. Chi c’è dietro queste undici donne anonime che dicono di aver deciso queste azioni durante un pranzo? E che hanno già  fissato appuntamenti con i vari leader politici, compreso il premier (ancora per poco) Béji Caid Essebsi? C’è chi teme si tratti di un’operazione del disciolto partito Rcd di Ben Ali, chi invece di En-nahda, perché nell’appello c’è un riferimento ad Allah. La Tunisia sta attraversando un momento delicato e la vigilanza non è mai troppa.
Molte donne però sono angosciate: non si fidano delle rassicuranti parole dei leader islamisti, tanto più che lo sceicco Ghannouchi è già  partito per il Qatar a rendere omaggio all’Emiro (che lo finanzia) e al suo mentore Qaradawi. La tensione è aumentata dopo gli attacchi alle insegnanti e le provocazioni di giovani zelanti che infastidiscono le donne per strada se non portano una gonna che arriva alle caviglie o il velo. Così anche alcune donne che non sono convinte dell’ingenuità  delle organizzatrici della manifestazione sono arrivate alla Kasbah. «Io penso che avremmo dovuto essere molte di più, manca l’organizzazione, non c’è nessuna che conosco qui», dice Latifa Bekky.
Perché è venuta, ha paura? «Sì io ho paura, insegno storia dell’islam all’università  e se dovessi dire qualcosa che non piace agli islamisti correrei dei forti rischi», dice. «E poi, aggiunge, i partiti che si ispirano alla religione possono imporci un modello di società  che non rispetta i nostri diritti».
Hamsani è ancora più arrabbiata, ha votato Ettakatol e adesso il partito sta trattando per andare al governo con En-nahda. «Sono dei traditori – dice riferendosi ai dirigenti del partito -, non esistono islamisti moderati, noi abbiamo fatto una rivoluzione per la libertà  e non vogliamo perderla».
A impressionare nella piazza è l’aggressività  degli uomini, giovani e meno giovani, che osservano le donne. Uno di loro trascina una donna anziana velata verso le manifestanti e urla «questa è una vera tunisina, voi non siete tunisine». In questi giorni abbiamo potuto verificare che la vittoria di En-naha è innanzitutto una vendetta dei maschi contro le donne. Molti maschi parlano delle donne come se fossero tutte depravate, profittatrici, che fanno quello che vogliono. «Io mi sento castrato, violentato dalle donne, sostiene uno di loro, ma adesso le cose cambieranno». Votando En-nahda pensa di aver riacquistato la sua virilità . E non è l’unico a pensarlo.


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