Monti rinvia i dibattiti sull’articolo 18: «Non ancora maturi»

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ROMA — Solo a gennaio ha in agenda un incontro a Londra con Cameron, uno a Parigi con Sarkozy, uno a Washington con Obama, un altro a Roma con la cancelliera Merkel e infine, in preparazione, uno con il Santo Padre, nel contesto di un bilaterale fra Italia e Santa Sede: forse anche per questo, per una concentrazione diretta ai fatti italiani quanto a quelli dell’economia mondiale e del Vecchio Continente, Mario Monti guarda con una punta di distacco al dibattito di questi giorni sull’articolo 18.
Distacco non vuole dire disattenzione, ma della querelle fra il ministro Fornero e i sindacati, confronto verbale che ha assunto a tratti i livelli di uno scontro politico acceso e persino personale, il premier farebbe volentieri a meno. Non solo per la modalità , non solo perché è sua intenzione non sottrarsi ad un vero confronto, ma soprattutto perché si discute di un argomento «non ancora maturo» e che il suo esecutivo intende riformare «in modo sistemico», con una riforma di cui un’eventuale modifica dell’articolo 18 sarà  solo un piccolo tassello. E lo stesso discorso vale per le liberalizzazioni.
Mentre il dibattito sulla riforma del lavoro ieri proseguiva a suon di polemiche il presidente del Consiglio discuteva al Tesoro, con sollievo, vista la tendenza decrescente dello spread, di tassi e prossime emissioni di Btp, con Maria Cannata, direttore generale del Debito pubblico; di una ormai ineludibile riforma generale (città  per città , quartiere per quartiere) del Catasto, con Gabriella Alemanno, direttore dell’Agenzia del Territorio; presiedeva un pranzo di lavoro con i vertici del ministero, scambiava infine gli auguri con i funzionari ai quali, con una battuta, confessava di lavorare meglio sulla scrivania di Quintino Sella: «Mi sento più a mio agio da ministro, consideratemi un presidente del Consiglio ad interim…».
«Lavoro meglio qui che a Palazzo Chigi», ha aggiunto ricordando di aver messo piede nel palazzo di via XX settembre, per la prima volta, nel lontano 1966, per ritirare un premio, ministro del Bilancio Giovanni Pieraccini, e poi un’altra volta nel 1977, quando era professore all’università  di Torino.
Monti ieri, come nei giorni scorsi, non ha parlato in pubblico: il giro di orizzonte fatto al Tesoro è servito anche a preparare il lavoro che sarà  necessario dopo l’approvazione definitiva del decreto Salva Italia. È meglio farsi trovare preparati, ha chiesto a tutte le strutture del governo, e preparati significa lavorare, sin dal giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, all’«effettiva applicazione» del provvedimento.
Con Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate, ha ad esempio discusso degli effetti delle norme per la lotta all’evasione: effetti non contabilizzati in manovra, ma da cui a Palazzo Chigi ci si attendono «risultati eccellenti» in termini di gettito, anche per finanziare politiche di sostegno alle famiglie e alla crescita. Risultati su cui ieri si è cominciato a ragionare, mentre va avanti quello che al momento resta il primo obiettivo di breve periodo: una profonda spending review della spesa pubblica, che al termine del processo, rimarcava ieri il ministro Filippo Patroni Griffi, potrebbe comportare, in alcuni settori, «un arretramento del pubblico a vantaggio dell’autonomia dei privati».
Subito dopo le feste si schiuderà  un intenso periodo di relazioni diplomatiche: la possibilità  di un incontro fra governi, assieme al Santo Padre, basterebbe già  a riempire un’agenda che si annuncia molto densa.
La negoziazione accurata delle modalità  di applicazione del cosiddetto Fiscal Compact, accordo dell’ultimo vertice europeo, si accompagna alla preparazione di un’iniziativa tesa a influenzare il dibattito sulla crescita del Vecchio Continente, iniziativa sulla quale il premier sembra cercare un asse con Londra, nella convinzione che occorra «una rapida correzione di rotta» nella politica economica comunitaria influenzata da Parigi e Berlino.
Alcuni giorni fa l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, è stato a Palazzo Chigi, e subito dopo sul Times ha scritto un editoriale che era un appello all’inquilino di Downing Street, affinché non si lasci sfuggire l’occasione di avere come alleato, nell’interesse della Gran Bretagna (primo partner della zona euro) proprio Mario Monti. Lo stesso Monti, ricordava Emmott, che intende farsi paladino di quanto predicato da superconsulente della Commissione europea: maggiore integrazione, concorrenza e liberalizzazioni del mercato unico.
Ieri pomeriggio, infine, altri auguri al Quirinale, con le più alte cariche dello Stato. Anche una stretta di mano con la Camusso, ma nulla di più.


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