Iowa, via alla corsa dei repubblicani spunta il “terzo incomodo” Santorum

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Des Moines (Iowa) – «Questa è la tua chance, cuore profondo dell’America, di parlare e farti sentire». L’italo-americano Rick Santorum ha una fede che forse sposta le montagne, nel suo ultimo appello agli elettori dell’Iowa è elettrizzato dalla speranza di un miracolo. Nel cuore profondo dell’America forse davvero la religione può decidere la corsa alla nomination, non per questo designerà  il candidato di destra più adatto a sconfiggere Barack Obama a novembre. Strano posto per cominciare le primarie, questo Iowa: non è un campione rappresentativo degli Stati Uniti. È più vecchio, è troppo bianco (appena il 5% di ispanici e il 2,9% di afro-americani), è agricolo, è troppo religioso, troppo nordico a causa del ceppo originario di immigrazione dall’Olanda. Se fosse per l’Iowa lo sport nazionale sarebbe l’hockey su ghiaccio, dove non c’è un giocatore di colore in tutto il campionato. Ma da qui parte oggi la gara a ostacoli per l’investitura del partito repubblicano. Stasera (a tarda notte in Italia) il pronunciamento di poco più di centomila elettori dell’Iowa sarà  strombazzato urbi et orbi, verso il resto d’America e del mondo, come il primo test reale, la prima indicazione di quel che pensa la “base”. L’incertezza sul futuro sfidante di Obama è ai massimi, nei sondaggi locali sono tre i candidati quasi a parità : Mitt Romney, Ron Paul e Santorum tutti attorno al 20%.
Romney non ha perso la speranza di un k.o. al primo round che chiuda la partita in anticipo. L’ex governatore del Massachusetts perciò concentra i suoi attacchi su Obama, pensa già  al dopo: «Questo presidente non ha idea di cosa fare per rimettere in movimento l’America, io vengo dall’economia reale, sarò il chief executive della rinascita». I democratici restituiscono il colpo, preparano spot tv per ricordare che razza di chief executive fu questo multimilionario: uno specialista di operazioni speculative, capace di licenziare migliaia di lavoratori per fare profitti.
Che lo Stato dell’Iowa sia uno strano posto per il fischio d’avvio lo conferma la situazione economica: nei distretti agricoli più opulenti la disoccupazione è al 4%, praticamente il pieno impiego. La lobby agricola può permettersi di accogliere con una scrollata di spalle la notizia che Obama non rinnova la manna fiscale sui biocarburanti. Dopo 30 anni e 20 miliardi di sussidi, viene a decadere l’assurdo aiuto più volte denunciato dagli ambientalisti. Ma nel “granaio mondiale del mais” gli affari vanno a gonfie vele, il business dei biocarburanti (tutt’altro che “verdi”, anzi super-inquinanti) procede a gonfie vele con o senza privilegi fiscali. E tuttavia, forse proprio per l’età  media avanzata della popolazione, o per il peso dei fondamentalisti cristiani, in quest’oasi di benessere attecchisce il messaggio apocalittico di Ron Paul. «Collasso mortale dell’economia. Violenze nelle piazze. La legge marziale dietro l’angolo», così l’anziano deputato del Texas fa il pienone nei suoi comizi. «Mille miliardi di tagli alla spesa pubblica se mi eleggete presidente, e soffra chi deve soffrire». Gli altri repubblicani? «Difensori dell’establishment, dello status quo». Solo nei comizi di Paul qui vedi tanti giovani, affascinati da un ideologo così coerente nel suo liberismo libertario, da confinare con il pensiero anti-Stato degli anarchici. Poche o nulle, le sue possibilità  di arrivare alla Casa Bianca, ma i fedelissimi di Ron Paul potrebbero astenersi a novembre, se delusi da un candidato moderato come Romney.
Il test di stasera designerà  appena l’un per cento dei delegati, ma se ha tanta influenza una ragione c’è: l’Iowa è una bella prova per le “macchine elettorali” dei vari candidati. Bisogna sfidare temperature polari, bisogna piazzare degli entusiasti in ognuna delle 1.774 assemblee, perché così funziona il “caucus”. A differenza delle primarie, qui la gente si raduna dalle sette di sera in una chiesa, o in una biblioteca pubblica, o in un ginnasio di quartiere, talvolta perfino nella sala da ballo di un ristorante oppure in casa di amici. È democrazia assembleare, più simile a una riunione di condominio che a un voto. Non si sceglie a mano alzata come per i democratici, lo scrutinio tra i repubblicani è segreto, ma i comizi negli ultimi minuti possono spostare fasce decisive: nei sondaggi il 40% ieri erano ancora indecisi.
Santorum è l’ultimo di una serie di candidati su cui si è spostato il favore dei fondamentalisti cristiani, che sembrano orientarsi in base al criterio: “Chiunque non sia Romney”. All’ex governatore del Massachusetts non perdonano le aperture (passate) all’aborto, segno di una mancanza di fermezza. Gli evangelici hanno flirtato con Michele Bachmann, con Rick Perry, infine con Newt Gingrich prima di abbandonarlo perché improvvisamente memori dei suoi adulteri plurimi. Ora il cattolico della Pennsylvania Santorum, figlio di un immigrato di Riva del Garda, piace per i suoi proclami «in difesa della vita, e contro i matrimoni gay» che promette di portare fino alla Casa Bianca. Ci aggiunge un linguaggio da falco in politica estera, promette «un attacco aereo contro gli impianti nucleari in Iran, coordinato con il governo d’Israele», un altro messaggio che piace ai teocon convinti che Israele abbia una «vocazione unica nei disegni divini». Romney ha pronta la prossima campagna di attacchi contro di lui, se sarà  necessario distruggerlo come ha fatto con Gingrich: «Ecco un altro politicante, che in vita sua ha lavorato solo a Washington, non ha il curriculum vitae di chi salverà  la nostra economia».


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