Quel cimitero per sessanta cani nelle terre di Gomorra

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Una sessantina tra maremmani, pastori tedeschi, rottweiler (e anche qualche gatto e qualche coniglio…) saltano fuori da una campagna che non si capisce di chi sia, abbandonati chissà  quando come mondezza. Le indagini della Procura di Nola, però, sembrano escludere l’ipotesi più ovvia dei combattimenti tra povere bestie trasformate in belve per le scommesse dei clan. Non ci sarebbero segni di violenza, e dunque le piste si ridurrebbero alla sepoltura illegale dietro compenso o alla truffa messa in piedi da qualche canile: a molte bestiole è stato tolto il microchip, la loro «carta d’identità », magari per continuare a ottenere la sovvenzione che il Comune paga ai gestori privati. Niente guaglioni di rispetto, niente cosche, solo qualche furbastro, insomma. Bisogna pur campare, no?
E tuttavia la prima impressione è sbagliata. La camorra qui c’entra, eccome. Forse non come organizzazione criminale, certo come mentalità , distorsione culturale. Nel 2004 una ricerca pubblicata su Lancet collocò Marigliano, con Nola e Acerra, in un triangolo della morte molto speciale: Alfredo Mazza del Cnr di Pisa scoprì che nella zona l’incidenza dei tumori al fegato era doppia rispetto alla media nazionale e quella dei tumori alla vescica quadrupla. Motivo? Per decenni la camorra ha sversato in questi terreni qualsiasi tipo di rifiuto tossico (in buona parte proveniente dal Nord) avvelenando acqua, frutta, bestiame, e seminando cancro tra la gente. Questo ci racconta l’ennesimo capitolo di Marigliano e dintorni: di un divorzio tra l’uomo e il suo ambiente, celebrato ancora con le liturgie della società  illegale. Poco conta se i becchini stavolta siano affiliati o meno. Dove la vita degli umani vale un soldo bucato, la morte dei loro amici a quattro zampe è uno straccio in un canale inquinato.


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