Gli assassini e le parole della politica

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Dalla strage di Oslo-Utoya a quella di Firenze, fino all’eccidio di Tolosa, uno stesso schema si ripropone, al di là  del numero delle vittime: un killer, in apparenza solitario, in realtà  legato a qualche tendenza della destra neonazista, che compie l’eccidio freddamente, in pieno giorno, all’aperto, in presenza di testimoni, quasi si consideri in qualche modo legittimato e/o «coperto». In realtà , il terreno su cui cresce la malapianta dello stragismo razzista è vasto quanto lo spazio che oggi hanno guadagnato in Europa l’insofferenza, il disprezzo o l’ostilità  aperta verso migranti, musulmani, rom, sentimenti a loro volta alimentati dal concime dell’antisemitismo e del negazionismo. A ben riflettere, infatti, la xenofobia, l’islamofobia e l’antiziganismo odierni non sono altro che antisemitismo generalizzato: è da questo che traggono cliché, strutture, dispositivi principali. 
In Francia, la diatriba strumentale sull’«identità  francese», i discorsi anti-musulmani e anti-ebraici di certi candidati alle presidenziali, la recente controversia sul cibo halal e kasher non devono essere passati senza effetti. Non che lo stragismo razzista ne sia l’esito ineluttabile, ma certo si può dire che questo si nutre o profitta anche di discorsi e pratiche compiuti da razzisti in doppio petto o addirittura istituzionali. Per citare Slavoj Zizek, sempre più in Europa il razzismo aperto dei populismi di destra e quello «ragionevole» che sgorga dalla tolleranza liberale si rivelano come «due facce della stessa medaglia». 
Tutto ciò si riflette nell’opinione pubblica. In Francia, in questa fase di campagna elettorale, è riemerso – l’abbiamo constatato – il vecchio vizio di attribuire tutti i mali della società  agli «arabi», categoria abusiva che comprende qualunque cittadino francese – soprattutto se giovane e di «quartieri sensibili» – che abbia un cognome arabo oppure un aspetto «troppo mediterraneo». Può capitare altresì d’ascoltare, perfino in salotti di classi medie istruite, ragionevoli e progressiste, litanie sulla civiltà  francese svilita e degradata per colpa degli «arabi» e di altri alieni. 
Certo, la presidenza Sarkozy e il lepenismo, appena ripulito, della figlia del fondatore del Front National hanno contribuito a diffondere senso comune razzista e a legittimare implicitamente formazioni di estrema destra, svolgendo un ruolo non dissimile da quello avuto in Italia dalla triade Berlusconi-Maroni-Bossi. Quel che è certo è che in Europa la crisi finanziaria ed economica, insieme con la sua gestione decisamente antipopolare, non farà  che acuire frustrazione, risentimento, rancore collettivi. A loro volta questi sentimenti favoriscono partiti come il Front National (che gode di consensi popolari rilevanti, perfino fra gruppi di popolazione di origine immigrata). E non solo: spesso, lo sappiamo, queste passioni aprono la strada al populismo antisemita e razzista in senso lato. Richiamare alla vigilanza, allertare quel che è sopravvissuto dell’opinione pubblica democratica è necessario, ma non sufficiente. Si dovrebbe essere capaci d’immaginare, progettare, costruire un’Europa politica che abbia alla base la cittadinanza transnazionale e il ripudio di ogni tentazione nazionalista e identitaria.


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