Quando la microstoria incontra la grande Storia

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È il caso di questo studio di Cecilia Valentino, Vita di Giuseppe Barbarossa (Edizioni del Centro Guido Dorso di Avellino, pp. 232, da richiedere a info@centrodorso.it), che narra le peripezie politiche e professionali (dentro tutte le turbolenze tra fine Ottocento e prima metà  del Novecento) di un socialista tra Puglia e Campania, ma anche gli accadimenti privati di una famiglia in un’epoca in cui, come ricorda Gloria Chianese nell’introduzione, «il rapporto tra le generazioni è stato a lungo elemento importante nel processo di costruzione identitario». 
Il socialista Barbarossa (1868-1943), fuggito dalla Puglia verso Napoli per le violenze delle squadracce fasciste nel suo paese, Canosa, è il nonno della Valentino e si sa che i rapporti personali e affettivi possono spesso indurre in tentazioni acritiche. Non così in questo libro, intreccio equilibrato tra vicende personali e vicende collettive, dove le due cose si alimentano a vicenda e diventano formazione imprescindibile del personaggio e di chi gli sta vicino. Ed è un merito non da poco dell’autrice che a proposito racconta: «Guardando le foto della famiglia Barbarossa ho ricordato ciò che mia madre raccontava della sua infanzia a Canosa, di come la lotta politica e il socialismo abbiano influito, fin da piccola, sulla sua vita; dei tanti dolori e sofferenze che la parola fascismo rievocava in lei». Dunque Giuseppe Barbarossa vive dapprima gli anni della formazione dell’adolescenza a Canosa per poi formarsi professionalmente (è avvocato) a Napoli e quindi ritornare a Canosa dove svolge le sue esperienze politiche di socialista anche in qualità  di amministratore del suo paese.
Sono anni esaltanti di partecipazione al movimento socialista ma anche tempi in cui la violenza fascista, che comincia a prendere il sopravvento, gli farà  vivere tristi e drammatiche esperienze. La sua casa è presa di mira da scariche di dinamite, la sua famiglia è terrorizzata dalle minacce dei gruppi fascisti. L’escalation delle violenza ha il suo punto più alto nell’uccisione del deputato socialista Di Vagno davanti alla sua abitazione a Conversano). Nonostante sia stato oggetto di un attentato Barbarossa continua l’attività  a Canosa fino a quando, su insistenza della moglie, decide di trasferirsi a Napoli. «Sul vagone ferroviario pieno di suppellettili e mobili, di notte, scortati dai carabinieri, perché si temevano tafferugli tra fascisti e socialisti, con la moglie e le due figliolette, Giuseppe Barbarossa abbandona Canosa e la Puglia, per non tornare più». Ci saranno altre esperienze politiche nella sua nuova vita tra Napoli e Avellino dove muore nel 1943. Episodi che la Valentino ci restituisce insieme al piacere di fare storia, e di farla, va detto, al meglio.


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