Ortese Morante

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Roma, 16.5.75
Cara Elsa Morante, un mese fa ho letto La Storia.
Ho esitato a scriverLe, non sapendo se Lei ha di me stima umana. Penso che una lode possa valere solo in questo caso. La stima che io ho di Lei, persona umana, è molto alta. Come scrittore, solo poche Sue pagine di scura bellezza mi erano note. Alla fine ho letto
La Storia, e sono andata avanti tutta la notte, e poi il giorno dopo, e poi un altro giorno. Ero sbalordita. Si aprivano dovunque i cieli della più grande tradizione italiana. Con un dolore più vicino. Dopo il primo giorno mi è accaduto questo: non avevo più memoria di tutte le cose — anche immense — finora lette. Ancor meno mi ricordavo di me. Pensavo — seguendo la disperazione senza luce di soccorso della madre di Ida: qui siamo tutti — è detto tutto. È resa giustizia a tutti noi che fuggiamo. — Quando dico noi, dico un’umanità , semplicemente. La grazia e purezza del bambino! Ma Nino, poi, quando torna — morto nel pensiero della madre — e non vuole morire, è immenso. Qui tornava quella prima sensazione «è stata resa giustizia».
Voglio ricordare qua e là , di questo VIVENTE libro, la luce in cui si muove — colorando le strade, la gioia di Useppe. I piccoli interni familiari. La polvere povera, tutta voci. I rossi orrori che accadono all’uomo, di epoca in epoca. Quando il libro è finito, resta il senso dell’epoca. Siamo un po’ cambiati. Della letteratura non ci ricordiamo, e questo è bene. Ma sì del dolore umano. E questo dolore, che è intramontabile, diviene l’ombra che va avanti, la musica funebre della gioia che finì, ma in eterno porrà  quesiti alla ragione.
Non so di strutture e di altro. So di emozioni. Queste sole dicono che in un racconto, o in una letteratura, è passata la vita. E solo la vita — a umiliazione dei critici — è forma.
Mille auguri per il domani! Stia bene!

Sua [P. S.] Non ho letto prima, perché volevo essere sola col mio giudizio. Non le do il mio indirizzo, perché spero che non mi ringrazi. Siamo già  tanto umiliati da immagine false e scambi di grazie o inchini. Il mio omaggio a Lei, almeno, sia libero.

Rapallo 12.4.83
Cara Elsa Morante, In Aracoeli, la breve vita di Carina è una delle pagine più alte della letteratura italiana di ogni tempo. Dissi, ad amici, quanto questo libro, per me, fosse importante — coraggio e tristezza così rari in questi anni di nulla — ma dissi soprattutto di quel ritratto: che per sapienza ricorda — e non a me sola — l’oro di sogno di Las Meninas.
La breve quiete — nel vivere — di Carina, la sua infinita preziosità  e dolcezza — sono davvero cosa immortale.
Sia contenta, dunque, cara Elsa Morante, di quanto ha avuto in dono — e ancora cerchi, nel suo giardino, quanto è nascosto. Pazienza, col proprio corpo, e anche con la propria anima. Vi saranno “risposte”, sulla pagina; vi saranno altri doni, per cui Lei non potrà  dire grazie, agli Dei o al Dio della Bellezza, che ricordando le proprie catene. Allora le saranno meno pesanti.
E poi, non è detto che non possano allentarsi da sole. Il mondo non è che un grande prodigio. Non vedere che sia prodigio, non muta la sua natura di fiaba. Un abbraccio. Un grazie. Un augurio di gioia Sua A. Maria Ortese


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