«Il sostegno cieco alle rivoluzioni non porta democrazia»

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Ci chiediamo perché mai un popolo che abbiamo liberato si rivolti contro di noi. Non basta addossare la colpa a un sacrilego video su Maometto. C’è qualcosa di più profondo dietro l’attacco al nostro consolato a Bengasi, come c’è dietro l’attacco, per fortuna senza vittime, alla nostra ambasciata al Cairo. Sono angoscianti campanelli di allarme: potremmo essere di fronte a una nuova crisi nel mondo islamico». Lo storico e politologo Benjamin Barber, l’autore di «Guerra santa contro McMondo», dice di avere temuto per gli americani in Libia da alcuni mesi. «A giugno, gruppi armati misero una bomba vicino al nostro consolato a Bengasi. In precedenza avevano attaccato il Ministero degli Esteri a Tripoli e incendiato alcune moschee sunnite. Chiaramente, noi eravamo e siamo uno dei bersagli delle forze eversive libiche». Barber, frequente visitatore in Medio oriente, teme adesso anche per gli americani in altri paesi: «Non siete al sicuro neppure voi europei, perché ovunque possono svilupparsi movimenti antioccidentali». Crede che queste morti si potevano evitare? «Non lo so. Ma so che il nostro consolato non è stato adeguatamente protetto dalla polizia e dall’esercito libici che erano nelle vicinanze. Anche al Cairo le forze dell’ordine non sono intervenute, ma l’attacco non è stato cruento. A Bengasi anche il pubblico è rimasto a guardare, bisogna fare luce sul comportamento di tutti». A che cosa allude quando dice che qualcosa di più profondo del video su Maometto ha motivato l’attacco al consolato a Bengasi? «A più fattori. Al caos che ha fatto seguito alla rivoluzione: in Libia in realtà  mancano la legalità  e ordine. Alla preminenza delle milizie armate, degli estremisti islamici, dei terroristi: predicano l’antiamericanismo e la violenza. E alla nostra cecità . Il video ha innescato una reazione che si stava preparando da tempo. In Libia è in corso una sanguinosa lotta per il potere e ora la situazione rischia di sfuggire di mano sia al governo di Tripoli sia a noi». In che senso l’Occidente è stato cieco in Libia? «Ha creduto che dalla rivoluzione libica scaturisse subito la democrazia, mentre la storia ci insegna che dalle rivoluzioni scaturisce l’anarchia, e che dopo l’anarchia la legalità  e l’ordine vengono ripristinati non dai buoni, chiamiamoli così, ma dai cattivi, perché sono loro a prender il sopravvento. Basta pensare alla rivoluzione francese, che portò alla monarchia, e alla rivoluzione sovietica, che portò allo stalinismo, risultati opposti a quelli desiderati». Ma l’Occidente non poteva non appoggiare la rivoluzione libica… «La doveva appoggiare, certo: le rivoluzioni scoppiano perché i popoli vogliono la libertà , e l’Occidente deve essere il loro alfiere. Ma il popolo libico ha pagato e sta pagando con il sangue la conquista di una libertà  e di una democrazia che adesso sono in bilico. L’Occidente non lo ha preparato e non lo aiuta a preservarle. Ha bombardato all’improvviso la Libia per rovesciare Gheddafi ma non ha fatto molto per impedire che diventasse terra di guerriglia. Io applaudii e applaudo alla rivoluzione libica, ma critico il mio paese». Perché? L’America ha qualche responsabilità  di ciò che accade nel mondo islamico? «L’America e l’Europa sono corresponsabili dei rapporti dell’Occidente con l’Islam, come l’Islam è responsabile dei suoi rapporti con l’Occidente. Le esplosioni di violenza nei paesi islamici non sono colpa nostra. Ma la protesta pacifica contro le nostre politiche ci sta, perché per varie ragioni, spesso economiche, vedi il petrolio, noi americani passiamo da un cieco sostegno alle dittature a un cieco sostegno alle rivoluzioni. Ripeto, non è la strada giusta per la democrazia». Sbaglio, o lei pensa che la primavera araba stia finendo? «Non sono mai stato ottimista sulla primavera araba per i motivi che le ho detto. Le forze che la stanno strumentalizzano non sono democratiche. A Bengasi si sventola la bandiera della monarchia, in Egitto sono al potere i Fratelli Musulmani, per ora moderati, ma esposti a gruppi estremisti, in altri paesi aumenta la nostalgia dell’uomo forte. È ora che l’America e l’Europa si mettano assieme e rivedano la loro politica verso l’Islam, prendendo le distanze dalle dittature. La libertà  e la democrazia nascono dal basso e vanno alimentate anche nei paesi islamici. Non nascono dal rovesciamento dei tiranni». È un principio che vale anche per la Siria? «Ho visitato la Siria l’ultima volta due anni fa. Rispetto ad Assad, che sta uccidendo la sua gente, Gheddafi è stato più cauto. Ma noi non facciamo nulla per i siriani. Non sappiamo che cosa fare anche perché la posta in gioco è troppo alta, potremmo destabilizzare l’intera regione, l’Iran, il Libano, Israele, l’Iraq. I paesi arabi e del Golfo Persico sono nella nostra stessa situazione. Questa paralisi deve finire. L’America e l’Europa devono coordinarsi maggiormente non solo tra di loro ma anche con i paesi arabi e del Golfo Persico».


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