Obama ritira i «rinforzi»

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È dunque conclusa quella che fu chiamata surge: la strategia di dispiegare una considerevole forza militare per un certo periodo, una «marea montante» (letteralmente, «surge») di soldati che avrebbe dato un colpo decisivo ai ribelli. Così aveva detto il presidente Barack Obama nel dicembre 2009, quando ha autorizzato il dispiegamento: «Dobbiamo invertire il momentum dei Taleban e togliergli la capacità  di minacciare il governo» (quello di Hamid Karzai); le truppe addizionali furono mandate nelle province del sud e est del paese dove i Taleban stavano rafforzando la loro influenza. A distanza di due anni però sembra che l’obiettivo di quella «marea» sia stato ridimensionato retroattivamente: il segretario Usa alla difesa Leon Panetta, che ha annunciato il completato ritiro durante una visita in Nuova Zelanda, ha affermato che «la surge ha raggiunto il suo obiettivo di fermare l’avanzata dei Taleban sul terreno e permettere di rafforzare le forze di sicurezza nazionali afghane», e così cominciare il processo di transizione (cioè trasferire alle forze afghane la responsabilità  della sicurezza). Restano in ombra alcuni dettagli. Uno è che rimangono pur sempre 68mila soldati americani in Afghanistan : oltre il doppio di quando il presidente Obama è entrato in carica nel gennaio 2009 (allora erano 32mila). Infatti, dispiegamenti addizionali erano già  stati autorizzati, sempre su richiesta dei comandi militari. Con la «surge» gli effettivi americani erano arrivati a 101mila, oltre a circa 50mila soldati degli altri contingenti Isaf-Nato.
Secondo dettaglio: la notizia del ritiro di quei 33mila soldati è passata quasi sotto silenzio a Kabul. Nessuna dichiarazione del presidente Karzai, né dal comandante delle truppe Usa in Afghanistan, generale John Allen, né dei comandi Isaf-Nato. Il New York Times però riferiva ieri il commento anonimo di un alto ufficiale americano a Kabul che diceva: «Ora tocca a Karzai». La polizia e le forze di sicurezza afghane sono in effetti più che raddoppiate quest’anno e contano circa 300mila uomini. Ma notevoli dubbi restano sul loro addestramento e sulla loro «fedeltà », come si dice con un eufemismo, tanto più non essendo chiaro il futuro assetto dei poteri nell’Afghanistan dopo il definitivo ritiro delle truppe occidentali nel 2014. Solo tre giorni fa i comandi della Isaf-Nato hanno sospeso ogni pattugliamento comune di forze straniere e afghane (dopo un’ondata di casi in cui i soldati occidentali sono stati attaccati da uomini con le divise militari afghane). In ogni caso, a Kabul il ritiro di quei 33mila americani non cambia nulla sul terreno, nell’immediato.
Il bilancio? L’attività  militare dei Taleban nelle tradizionali roccaforti nel sud e est è relativamente calata negli ultimi due anni, ma è aumentata in zone da cui erano assenti nel nord. Diminuiti gli attacchi diretti sul terreno, sono aumentati quelli con bombe sulle strade e soprattutto gli attacchi suicidi, che fanno un maggior numero di vittime civili. Così, il livello generale di violenza oggi è più alto di prima della «surge»: nei primi 6 mesi del 2012 sono morti 1.145 civili, contro 1.267 nello stesso periodo del 2010. Ma, come dice l’anonimo ufficiale Usa, «ora sono affari di Karzai».


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