Romney tenta il blitz, Obama «allunga»

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E che domani, penultimo giorno del tour elettorale prima del voto, ha aggiunto una tappa a Filadelfia.

Per il team di Obama quella di Romney è la mossa disperata di un candidato che, avendo capito di non essere in grado di portare dalla sua parte un numero sufficiente di Stati «in bilico», tenta un ultimo blitz. «Se perdiamo la Pennsylvania» promette il braccio destro di Obama, David Axelrod, «mi taglio i baffi che ho da 40 anni». Ma in un’elezione così incerta che tutti, anche la squadra del presidente, si aspettano di veder risolta sul filo di lana, nessuna mossa dei due fronti è insensata. 

Mentre i due candidati, saltando da una piazza all’altra, alzano i toni della polemica e tornano a sfidarsi sull’economia in base ai nuovi numeri dell’occupazione, gli strateghi delle due campagne giocano la loro partita a scacchi: dispongono le ultime pedine sul campo, scrutano i sondaggi (ieri Ipsos/Reuters dava il presidente leggermente in vantaggio nei tre Stati chiave di Ohio, Virginia e Florida), preparano eserciti di volontari che dovranno spingere in poche, cruciali, ore gli elettori «pigri» alle urne. Ma mettono in pista anche nutrite squadre di avvocati. Il New York Times ha raccontato ieri che nel solo Ohio, determinante e forse deciso da un pugno di voti, i democratici ne schiereranno 2.500 per controllare la regolarità  delle operazioni di voto. Nei seggi e anche fuori, dove si temono gesti di intimidazione nei confronti degli elettori più vulnerabili: ad esempio quelli che in passato hanno avuto problemi con la giustizia. L’incubo, per l’America, è quello di un risultato deciso da pochi voti e contestato a lungo, come avvenne nel 2000 tra Bush e Al Gore. Ma c’è anche lo scenario del «pareggio»: 269 delegati elettorali per Obama, 269 per Romney (com’è noto, negli Usa i cittadini eleggono in ogni Stato un certo numero di delegati che poi, a loro volta, eleggono il presidente). 
Improbabile ma non impossibile, ed è in questa intricata partita che si inserisce la mossa a sorpresa della Pennsylvania, dove Obama è ancora in vantaggio nei sondaggi, ma molto meno di qualche settimana fa, mentre una maggioranza di cittadini — e soprattutto i lavoratori bianchi — dichiara di fidarsi più di Romney che del presidente quando si fanno domande specifiche sul rilancio dell’economia.
Gli stessi leader democratici, a microfoni spenti, ammettono che non si aspettavano di trovare Romney così vicino a Obama in una regione di metropoli industriali come Filadelfia e Pittsburgh. Spuntarla qui, per il candidato repubblicano rimane difficile, ma è non impossibile. E potrebbe essere la chiave per arrivare alla Casa Bianca, in un acrobatico gioco a incastri, anche perdendo l’Ohio: lo Stato senza il quale nessun repubblicano è mai Stato eletto presidente.
Le mappe elettorali più accreditate, come quella pubblicata dal sito Politico.com, partono da Stati sicuri per i due candidati (come New York e California dei democratici e il Texas repubblicano) che fanno partire Obama con 237 delegati già  in tasca, mentre Romney ne ha solo 191. Se Romney conquista Florida, Virginia e North Carolina, ma non ce la fa negli altri Stati «in bilico», si ferma a 248 delegati. A questo punto anche vincendo in Ohio (18 delegati) non riuscirebbe a raggiungere il quorum fissato a quota 270: Obama resterebbe alla Casa Bianca. Ecco perché nell’equazione ora entra la Pennsylvania.
Ma le combinazioni, in una battaglia elettorale così piena di fattori imprevedibili, possono essere le più diverse. Una di quelle che porta all’ipotesi di pareggio (in quel caso il presidente lo sceglierebbe, ma non subito, la nuova Camera con una procedura davvero anomala) vede Romney conquistare gli Stati appena indicati (compreso Ohio ma esclusa la Pennsylvania), con, in più, i 4 delegati del New Hampshire. Così il repubblicano arriverebbe in teoria a 270 delegati, ma probabilmente poi ne perderebbe uno in Nebraska: l’unico Stato, col Maine, a non rispettare la regola del «chi vince prende tutto».
Massimo Gaggi


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