PAROLA D’ORDINE: DEMOLIRE IL MOVIMENTO

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Non è questo che li interessa. Hanno un altro obiettivo: spezzare le gambe al movimento finché è piccolo e giovane. Si scrive a memoria, sull’onda dei ricordi. Come se i giovani di oggi fossero uguali a quelli di ieri o dell’altro ieri. E non diversi, nuovi ogni volta. È ormai quasi un nuovo genere giornalistico. Lo sport più in voga: demolirli. A destra, facendo puntualmente, ma anche fascisticamente, di tutte le erbe un fascio. Per bollarli a imperitura memoria come pericolosi e violenti estremisti. Tutti. Senza neppure guardarli in faccia. Evocando generalmente i fantasmi di un sessantotto assassino e demoniaco in cui loro, i giovani di oggi, non erano neppure nati. È la tecnica già  adottata in passato da gente che parlava di don Milani come dell’inventore dei soviet dell’ignoranza. Ma anche i giornali apparentemente più progressisti, spesso e volentieri, ai giovani, non fanno sconti. E hanno ben poco da dire. La loro retorica? Predicare, predicare, predicare, predicare. Ciò che fa irritare ogni giovane, che dagli adulti si aspetta soprattutto esempi, più che parole. Già , le prediche. Non sanno far altro. Magari qualche sinistro condivide le ragioni della protesta, capisce. O ci prova. Condivide le preoccupazioni. Cerca. Si sforza. Ma certamente non ne condivide i metodi. Mai. Diamine, siamo adulti, mica ragazzini invasati! I metodi! I metodi! Parliamone, di questi metodi. Lo sciopero e la piazza sono roba vecchia? Anche l’occupazione della scuola? Va bene, ma chi lo sostiene ha idee alternative? No, si capisce. L’alternativa è stare zitti. Verrebbe da dire: da che pulpito arrivano, questi consigli! E soprattutto, cosa hanno prodotto, in termini di cambiamenti reali dell’esistente? 
La cosa più interessante sarebbe parlare anche della specificità  di questa protesta dei giovani di oggi, piuttosto. Non è uguale a quella dei loro padri o dei loro nonni. Ma non per questo è da deridere o giudicare sempre negativamente. Vabbè, replicare ai reazionari è fin troppo facile. Buttafuoco, l’altro giorno, alla radio: «E se invece di protestare, i giovani iniziassero a studiare?» La solita vecchia battuta riciclata. Caro Buttafuoco, e se magari oltre a studiare i giovani protestassero? Le due cose da lei non sono contemplate? Rispetto alle modalità : c’è una grande attenzione da parte degli studenti a non essere impallinati dalla logica della “narrativa della violenza” che politici e media non vedono l’ora di recitare a soggetto. Voglio dire: sono meno ingenui di quanto pensiamo. Certo sono ben più pacifisti e non violenti di chi ha protestato in passato. E anche di chi ha licenziato 150.000 docenti dal 2008 a oggi: il più grande licenziamento di massa dalla nascita della nostra Repubblica, avvenuto a opera dello Stato, del Pubblico, non della Fiat o di un privato. Siamo di fronte a studenti che non compiono atti vandalici, per esempio. Anzi, c’è cura e attenzione verso gli edifici scolastici, vissuti come bene comune. Anche nelle occupazioni, mi pare ci sia una nuova consapevolezza, magari anche un po’ disperata: quella che la scuola sia, di fatto, l’unica Casa dei Ragazzi che è rimasta in questo loro mondo che non li vuole e li recepisce come ostili a priori, presenza indesiderata. Anche rispetto alle ragioni delle loro proteste ci sono particolarità . Le metteva ben in luce una recente puntata di Tutta la città  ne parla dove si dava voce, oltre a giornalisti e studenti, anche ai genitori dei ragazzi che stanno protestando. È vero, sia padri che figli temono il no future, ma la loro protesta, oggi, è più mirata. A dispetto della ridicola e ripetuta disunità  sindacale in atto, che sembra assolutamente funzionale al tentativo di disinnescare qualsiasi reale protesta – parliamoci chiaro, è così che i sindacati della scuola, da anni, neutralizzano le assordanti proteste di un corpo docenti ormai sull’orlo di una crisi di nervi – il movimento degli studenti mostra ancora una eccezionale unità  e compattezza nell’affermazione del proprio obiettivo prioritario: la difesa appassionata della scuola pubblica senza se e senza ma, come cuore ancora vivo e pulsante di quel che rimane della democrazia nel nostro Paese


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