Usa, 5 mln di dollari a ex detenuti Abu Ghraib: è il primo caso di risarcimento per torture

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WASHINGTON – Cinque milioni e 280mila dollari per risarcire 71 ex prigionieri iracheni torturati nel carcere di Abu Ghraib e in altri centri di detenzione a conduzione americana in Iraq: è il primo caso in cui un’azienda privata americana, la cui sussidiaria è stata accusata di aver collaborato alla tortura dei detenuti ad Abu Ghraib, ha accettato di patteggiare per chiudere la causa. La Engility Holdings Inc., che ha sede a Chantilly in Virginia, ha così tacitato le richieste delle 71 vittime, rinchiuse tra il famigerato carcere a Baghdad e altri centri in Iraq. Un’altra azienda di contractor civili, la Caci, andrà  a processo per un caso analogo in estate. La prigione di Abu Ghraib ottenne fama mondiale dopo la pubblicazione nel 2004 di una serie di foto di prigionieri iracheni umiliati e abusati dai secondini americani; uno scandalo che portò alla condanna di 11 soldati, con pene fino a 11 anni di prigione.

L’azienda sotto accusa, la L-3 Services Inc., aveva ottenuto un contratto di 450 milioni di dollari l’anno per fornire traduttori al personale militare americano: nel 2006 ne aveva oltre 6mila in Iraq. “I contractor privati hanno svolto un ruolo di rilievo ma spesso sottostimato nei peggiori abusi compiuti ad Abu Ghraib”, accusa Baher Amzy, uno dei legali dei detenuti che ha accolto con soddisfazione il patteggiamento. “Siamo contenti perché il risarcimento comporta una responsabilità  e dà  una qualche forma di giustizia alle vittime”, aggiunge.

La causa è stata intentata nel 2008 alla corte federale di Greenbelt, in Maryland, e accusa l’azienda di non aver preso provvedimenti nei confronti degli abusi e torture compiuti dal proprio personale sui prigionieri, né di aver informato gli Stati Uniti o le autorità  irachene. La ripartizione della somma fra gli ex detenuti non è stata resa nota, ma in media potrebbero aver ricevuto ciascuno oltre 70mila dollari.

Durissimi gli episodi contestati dai legali delle vittime: finte esecuzioni con pistole puntate alla tempia, prigionieri sbattuti contro un muro fino a perdere i sensi, minacciati di stupro mentre erano incappucciati ed incatenati, costretti a bere così tanta acqua da vomitare sangue. Molti ex detenuti accusano di essere stati più volte stuprati, picchiati e tenuti nudi per lunghi periodi di tempo. 

Lo scandalo delle torture ad Abu Ghraib scoppiò nel 2004, durante la campagna per la rielezione di George W. Bush. Le foto con i prigionieri incappucciati, incatenati, tenuti al guinzaglio da soldati Usa fecero in giro del mondo scioccando la comunità  internazionale: alcuni democratici chiesero del dimissioni del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, che riferì più volte davanti al Congresso sugli abusi. E già  all’epoca vennero accusati di tortura anche agenti di sicurezza privati, che avevano il compito di “facilitare” gli interrogatori.  

Nel 2004 Rumsfeld assicurò al Congresso che ci sarebbero state compensazioni per i prigionieri che avevano subito abusi da parte di “pochi membri delle forze armate americane” ma la US Army non ha documentato alcun risarcimento da parte del governo americano per i detenuti di Abu Ghraib. Tra il 2003 ed il 2006 il Dipartimento della Difesa ha pagato oltre 30 milioni di dollari per civili iracheni ed afgani rimasti uccisi, feriti o che hanno subito danni alla proprietà  a causa di azioni delle forze della coalizione. 

Finora le aziende di sicurezza private hanno sostenuto di non poter essere ritenute responsabili per casi simili, lavorando fianco a fianco con le forze armate americane che godono di immunità  per cause legali scaturite dalla loro attività  in zone di guerra. A maggio, però, la corte d’appello di Richmond, in Virginia, ha segnato un cambio di rotta, sostenendo di non poter accettare la richiesta di archiviazione avanzata dalle aziende di contractor privati finite sotto accusa, richiedendo più informazioni. 

Ora gli occhi sono puntati sulla Caci di Arlington, in Virginia, che andrà  a processo in estate: sono quattro gli iracheni che hanno chiesto un risarcimento all’azienda che forniva personale per gli interrogatori dei prigionieri.


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