Il gelo di Parigi: basta austerity, prima lo sviluppo

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PARIGI — «Non siamo l’anello debole dell’Europa», assicura Pierre Moscovici in conferenza stampa, e già  il fatto che il ministro delle Finanze della seconda economia dell’Ue sia costretto a dirlo significa che c’è un problema.
Poche ore prima, a Bruxelles, il commissario europeo Olli Rehn aveva reso note le previsioni Ue sulle economie dei Paesi membri nel 2013, e i dati francesi si sono rivelati leggermente peggiori rispetto alle già  ridotte aspettative: una crescita quasi nulla, pari allo 0,1%, e un rapporto tra deficit pubblico e Pil del 3,7%, ben lontano dalla soglia del 3% richiesta dal patto di stabilità . E la prospettiva, poi, è negativa: 3,9% nel 2014, nonostante la leggera ripresa della crescita valutata l’anno prossimo all’1,2%.
Il ministro Moscovici ha ringraziato più volte Rehn e lodato la collaborazione tra governo francese e Commissione europea, dando la sensazione talvolta di essere oltremodo riconoscente per la clemenza di colui che avrebbe potuto comportarsi da professore severo e non l’ha fatto. Nonostante il patto di stabilità  e le pessime cifre, la Commissione non ha alcuna intenzione di avviare la procedura di infrazione come sarebbe in suo potere, e anzi ha evocato la possibilità  di concedere un altro anno alla Francia per il raggiungimento dell’obiettivo del 3%.
È la fine, probabilmente benefica, di un’illusione: da settembre 2012, da quando persino il presidente socialista dell’Assemblea nazionale Claude Bartolone lo aveva detto chiaramente, tutti sapevano che la Francia non ce l’avrebbe fatta a raggiungere il 3% nel 2013, ma il discorso ufficiale del governo non cambiava.
Adesso che la realtà  è stata riconosciuta, ci si può adoperare per cambiarla. Bruxelles offre di concedere altro tempo a due condizioni: la prima è che a maggio i nuovi dati confermino l’aggiustamento strutturale delle finanze pubbliche francesi, che per ora supera l’1% annuo nel periodo 2010-2013; la seconda è che la Francia presenti «misure adeguate e convincenti» nel programma che sarà  consegnato il 15 aprile.
Altro rigore? No, la parola resta tabù, e come ha ripetuto più volte Moscovici «non vogliamo aggiungere austerità  alla recessione». Eppure, che cosa sono gli aumenti delle tasse e i tagli alla spesa pubblica praticati in questi mesi dal presidente Hollande e dal governo Ayrault, se non rigore? Ma Hollande è stato eletto all’Eliseo promettendo altro, e così Moscovici ripete il mantra dicendo che il «marasma europeo» richiede «un riequilibrio delle politiche economiche di tutto il continente in favore della crescita, come Franà§ois Hollande chiede dal primo giorno della sua elezione».
In pratica, la Francia è come una banca too big to fail, un Paese troppo importante politicamente in Europa perché Olli Rehn, magari spinto da Germania, Olanda o Danimarca, faccia la voce grossa: la Commissione non può che aspettare, e senza comminare sanzioni, in cambio dell’impegno francese — già  evocato ieri — a mettere mano alle pensioni. La strada è incrementare i tagli alla spesa pubblica, visto che il livello massimo di tasse è già  stato raggiunto.


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