I super occhiali ci diranno chi incontriamo

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Gli occhiali prodotti dalla società  di Mountain View sono ancora lontani dall’essere commercializzati — sono attesi nel 2014 — ma il grado di novità /innovazione che porteranno si misura anche con le preoccupazioni che già  risvegliano, non ultimo presso il Congresso Usa. Non è solo una questione di voyeurismo che non è certamente stato inventato da Google (anche se il suo motore di ricerca ci ha sublimati in natural born voyeur). Da questo punto di vista i Google Glass con le telecamere miniaturizzate sono solo un moderno assemblaggio di tecnologie già  esistenti e ricordano molto da vicino il sogno infantile dei lettori dell’Intrepido negli anni Ottanta (indimenticabile l’ultima pagina dalla quale si commercializzavano tra l’altro degli occhiali spia, a tutti gli effetti Google Glass ante litteram).
Oggi il pericolo per la privacy deriva più dalla capacità  esplosiva che gli occhiali possono raggiungere grazie alle applicazioni. Per adesso le app caricabili sono pochissime e molto comuni, come Twitter. Ma cosa potrebbe succedere, si domandava ieri il Wall Street Journal, con i software che permettono il riconoscimento facciale? Non si tratta solo di paure da cinefili drogati di fantascienza (tanto per il gusto della citazione basterebbe ricordare il mitico test «Voight-Kampff» in Blade Runner per il riconoscimento dei replicanti tramite le reazioni della retina). Il «Wsj» ha citato difatti l’esperimento concluso nel 2011 dai ricercatori della Carnegie Mellon University. Combinando informazioni pubbliche, dove per pubbliche si intende ormai un sinonimo di condivisione tramite social network, i ricercatori sono andati bighellonando per il campus con una telecamera: le persone, una volta riconosciute, venivano collegate a fatti personali come gli hobby o a codici privati come il Social security number (l’Ssn statunitense corrisponde al nostro codice fiscale).
Per Alessandro Acquisti, che ha fatto parte del team dei ricercatori della Mellon, il «riconoscimento facciale e la realtà  aumentata diventeranno comuni e popolari». D’altra parte il software esiste già : nel 2009 Facebook acquistò Face.com, start up israeliana che, basandosi su un’analisi biometrica del viso, suggeriva il riconoscimento. In Europa è stato bloccato per questioni di privacy e lo stesso Eric Schmidt di Google lo definì «pericolo».
Giusto dunque chiedersi se debba esserci un limite a quanto la realtà  possa essere aumentata. Sembra una barzelletta da «Intrepido Glasses» ma non è così banale interrogarsi su cosa potrebbe accadere se una persona attrezzata con i Google Glass — che tra l’altro permettono di condividere con altri quello che si sta vedendo con la possibilità  anche di postare foto direttamente sui social network — dovesse entrare con gli occhiali spioni accesi in uno spogliatoio o in un bagno pubblico.
La nevrosi da condivisione ha già  fatto pesanti danni su Youtube in epoca ante-Google Glass.
È la capacità  di compiere il nuovo peccato capitale dell’oversharing, la condivisione eccessiva, che ne fa un’arma a realtà  aumentata. Negli Usa il Video voyeurism prevention act prevede multe fino a 100 mila dollari e un anno di prigione per chi posta o rende pubbliche fotografie di qualcuno nudo o comunque in un luogo come una palestra. In Italia la pubblicazione di immagini è regolata dal combinato disposto della legge del 22 aprile 1941 numero 633 articolo 96 e di quella sulla tutela della privacy (196 del 2003). Le leggi ci sono.
Ma l’uso in violazione delle norme, magari nascondendosi dietro una falsa identità , è dietro l’angolo. È solo di poche settimane fa il caso delle fotografie lesive dell’immagine del presidente della Camera, Laura Boldrini.
Steve Lee, Google Glass product management director, ha già  fatto sapere che la società  non intende «aggiungere un riconoscimento facciale al servizio senza una valida soluzione per la privacy». Ma ricorda quel tipo che voleva lasciare fuori l’acqua del mare con un secchio.
Massimo Sideri


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