Erdogan è tornato: «La pagherete cara»

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ANKARA. Il premier Erdogan è tornato nella capitale accolto all’aeroporto da qualche migliaio di seguaci festanti. Anche stavolta ci sono state segnalazioni di sms e incentivi in denaro per ungere i manifestanti, ma non c’è dubbio che il loro sostegno fosse sincero. Il primo ministro ha parlato alla «sua» gente da un bus usato per le campagne elettorali, indossando una vistosa e insolita giacca a quadri. Come nel suo stile, ha usato un linguaggio ricco di iperboli e citazioni di poesia islamica, ma i toni sono ancora una volta stati durissimi. Nessuna concessione ai dimostranti, che devono liberare immediatamente le piazze. Ribadirà il concetto mercoledì, quando è previsto l’incontro con i rappresentanti della protesta contro la distruzione di Gezi Park. Erdogan ha lasciato intendere che gli abusi della polizia, che ha chiamato «la mia polizia», non saranno puniti, e che «è nostro dovere liberare le piazze da vandali e çapulcu (saccheggiatori, ndr». La parola çapulcu è ormai stata adottata dai dimostranti con orgoglio. «La mia pazienza ha un limite, dopodiché userò con loro il linguaggio che capiscono» ha minacciato.
Prima di Ankara, aveva parlato a Mersin e Adana dichiarando di aver piantato oltre due miliardi di alberi, e di essere un convinto ambientalista. Ma tra Adana e Mersin è prevista la prima centrale nucleare turca, nonostante l’avversione della popolazione che non è mai stata consultata o ascoltata.
La giornata di Erdogan è stata febbrile: il premier ha tenuto ben dieci discorsi, tra tv e piazze (sempre con la giacca a quadri), ripetendo più o meno le stesse minacce e accusando i dimostranti di aver profanato la moschea di Dolmabahce, a Istanbul, bevendo birra e entrandovi con le scarpe. La moschea era diventata un punto di raccolta per le centinaia di feriti a Besiktas. Per il 15 e il 16 giugno, ha annunciato due manifestazioni di sostegno al governo, rispettivamente a Ankara e Istanbul. Nel mirino del premier non solo la piazza, ma anche «la lobby degli speculatori di borsa» e le banche, accusate di destabilizzare il paese.
Dopo una domenica sera di attacchi violenti della polizia, Ankara sembrava comunque essere tornata alla calma, ma è bastato l’annuncio, alle 21 di ieri, che il presidente della Repubblica, Abdullah Gul, avesse firmato nell’ultimo giorno utile la discussa nuova legge anti-alcol per riaccendere la tensione. La legge, fortemente voluta da Erdogan e approvata a fine maggio dal parlamento, è considerata una delle cause della protesta di massa contro il premier accusato di volere re-islamizzare il paese. E come ogni sera, la temperatura è tornata a salire.
Al di là della dura retorica di Erdogan, l’impressione è quella di un braccio di ferro all’interno del suo partito, l’Akp, con il primo ministro costretto ad appellarsi alla sua base per evitare di essere scavalcato dal capo dello Stato e dal governo. La decisione di incontrare una delegazione di manifestanti, presa in serata dopo una lunga riunione del governo, sembra confermare questa ipotesi. Nonostante i discorsi muscolari e l’approvazione in corsa della contestata norma che limita gli alcolici, parrebbe un primo gesto di distensione.


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