Mediterraneo e Medio Oriente, tiro al bersaglio in vista delle elezioni Usa

Mediterraneo e Medio Oriente, tiro al bersaglio in vista delle elezioni Usa

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Non c’è nessun mistero come vogliono far credere. Usa e Israele hanno colpito siti nucleari iraniani, Israele in Siria prende di mira ogni giorno pasdaran e Hezbollah con l’approvazione di Mosca che ormai li ritiene alleati scomodi, Francia ed Emirati bombardano i turchi nelle loro nuove basi libiche. Ecco il tiro al bersaglio nel Mediterraneo e in Medio Oriente in vista delle elezioni Usa.

E quando non agiscono le armi colpiscono gli embarghi, contro l’Iran ma anche con il rafforzamento delle sanzioni americane a Damasco che stanno affossando pure la fallimentare economia libanese.

Guerre davanti agli occhi di tutti con attori che fingono di nascondere la mano. E’ paradossale ma l’Italia partecipa alla missione navale europea Irini per il rafforzamento dell’embargo contro la Libia insieme a Paesi come la Francia (che si è appena ritirata) impegnata a compiere raid in Libia: in pratica Parigi da una parte frena l’invio di armi turche a Tripoli e dall’altra sostiene il suo alleato Haftar con i Mirage della Dassault. Noi partecipiamo a queste missioni come cavalli che corrono con il paraocchi, sperando che al ritorno in scuderia in nostri partner ci scodellino la biada di una ricompensa che non arriva mai.

Aspettiamo, senza mai dire una parola, i colpi di mano altrui. E’ il caso dell’Iran dove americani e israeliani sono pronti a scatenare attacchi aerei, missilistici, con i droni, come contro Soleimani il 3 gennaio scorso, ma anche con la cibernetica, come nel 2010 quando venne lanciato il virus Stuxnet una delle più importanti operazioni di guerra cibernetica della storia.

Teheran resta il bersaglio primario di Israele e degli Stati Uniti, dove dispiegare armi sofisticate che possono servire da ammonimento anche a Pechino e Mosca. La guerra per il momento è tenuta sotto traccia. Quindi si parla di “misteriose” esplosioni in Iran e di “misteriosi” raid contro la base libica di Al Watiya.

Ma non c’è nessun mistero. A bombardare sono sempre quelli che lo fanno da anni. I francesi prima hanno bombardato Gheddafi nel 2011, poi l’Isis in Siria con gli americani, quindi le milizie jihadiste in Nordafrica e nel Sahel, da qualche anno sostengono Haftar e hanno messo a disposizione la loro aviazione insieme agli Emirati. Tutto questo attivismo francese dovrebbe far riflettere visto che il Parlamento ha approvato la partecipazione alla missione in Sahel con i francesi. Ma come? Dopo avere rifiutato, insieme a inglesi e americani, di salvare in novembre Sarraj sotto assedio a Tripoli, lasciando così la porta aperta alla Turchia, andiamo a combattere per Parigi nel Sahel? Soltanto gente sconclusionata può prendere decisioni simili.

Mentre i francesi, con russi, emiratini ed egiziani sostengono Haftar, noi siamo andati ad Ankara prima con il ministro degli Esteri Di Maio poi con quello della Difesa Guerini non si sa bene a che fare. Da questi meeting escono soltanto dichiarazioni scontate. L’Italia è soltanto uno spettatore del tiro al bersaglio, vorremmo dire per fortuna se in Afghanistan non tenessimo 800 soldati mentre si negoziano gli accordi con i talebani.

Lo stato che può fare sempre quello che vuole è comunque Israele. In Iran partecipa con gli americani alla costruzione di un nuovo caso internazionale in vista a ottobre dalla fine del divieto di export verso Teheran di armi convenzionali. Se la coppia Washington-Tel Aviv non riuscirà a bloccarla con i mezzi diplomatici passerà alle vie di fatto: tanto per dare una mano a Trump che ha già riconosciuto l’annessione di Golan e Gerusalemme e potrebbe farlo con la Cisgiordania prima di lasciare eventualmente la Casa Bianca.

Oltre all’appoggio americano, Israele ha quello di Mosca. Putin vuole dalla sua parte lo stato ebraico dove ci sono 1,5 milioni di russofoni utili ad aggirare le sanzioni imposte per l’annessione della Crimea con referendum. In poche parole c’è una certa solidarietà quando si parla di annessioni. I russi sono espliciti. Pasdaran e Hezbollah, decisivi per tenere in sella Assad prima dell’intervento russo del 2015, sono considerati adesso da Putin alleati “scomodi”. Ecco perché Israele ha vita facile nel tiro al bersaglio in Siria.

Il poligono libico è un altro nodo intricato. Turchi e libici di Tripoli, fiancheggiati da milizie jihadiste siriane, fronteggiano un alleanza dove la Francia, partner della Turchia nella Nato, aiuta gli Emirati nei raid, l’Egitto fornisce armi ad Haftar e i mercenari russi della Wagner, che devono difendere la base di Jufra e i terminali petroliferi della Sirte, sono pagati da Gazprom e Rosneft. La Nato, con Ankara e Parigi ai ferri corti, qui è già arrivata al capolinea delle sue contraddizioni mentre gli americani, dopo avere sostenuto Haftar, negoziano con Tripoli e Ankara per mettere un piede in una base militare in Libia.

I francesi effettuano raid aerei come quello nella base di Al Watiya non solo per impedire a Erdogan di oltrepassare la “linea rossa” della Sirte ma per affermare il loro ruolo di poliziotto regionale dal Nordafrica al Sahel. Nel tiro al bersaglio del poligono mediterraneo rischiamo pure di fare da camerieri ai francesi che hanno disintegrato la Libia di Gheddafi, la maggiore sconfitta italiana dal dopoguerra. Geniale.

* Fonte: Alberto Negri, il manifesto



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