Il confessore dei vietcong che poteva evitare la guerra

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LONDRA. Un uomo che sapeva ascoltare non è stato ascoltato quando aveva qualcosa di molto importante da dire. Suona come uno scioglilingua, invece è la piccola verità scoperta dallaBbctra le pieghe della storia. Forse Konrad Kellen, ebreo tedesco emigrato negli Stati Uniti, avrebbe potuto fermare la guerra del Vietnam, se Henry Kissinger, anche lui un ebreo tedesco naturalizzato americano, lo avesse ricevuto quando era segretario di Stato: ma l’appuntamento saltò, nessuno diede retta a Kellen e la guerra in Indocina proseguì con la sua scia di sangue, morti, danni e dolore. La storia non si fa con i “se”, certo, eppure il caso raccontato dall’emittente pubblica britannica sembra una di quelle sliding doors offerte talvolta dal destino: una porta aperta su due esiti possibili, ma qui è il migliore che viene scartato.
Il protagonista è un personaggio da romanzo: nato a Berlino nel 1913 con il nome originale di Katzenellenbogen, apparteneva a una delle grandi famiglie ebraiche d’Europa, suo padre un ricco industriale, a sua madre aveva fatto un ritratto nientemeno che Renoir. Alto, bello, carismatico, il giovane Konrad girava in Ferrari e citava Tucidide, era cugino di Albert Einstein e amico di Jean Cocteau. Sulla nave che lo fece emigrare in America, per fuggire all’antisemitismo di Hitler, conobbe Thomas Mann. Liberata Parigi con le forze americane, in cui si era arruolato nella seconda guerra mondiale una volta presa la cittadinanza Usa (ed essersi accorciato il cognome), fu avvicinato in un caffè da una giovane che gli affidò un quadro del proprio padre: era la figlia di Marc Chagall.
Come certi eroi di Joseph Roth o di Isaac Singer, Kellen aveva un dono: sapeva ascoltare. L’esercito lo mandò a Berlino a interrogare i prigionieri tedeschi per comprendere perché continuarono a combattere per il Terzo Reich quando già si capiva che il nazismo era spacciato. Poi fu assunto a Radio Free Europe e passò anni a intervistare dissidenti fuggiti dalla cortina di ferro sovietica.
Quindi, a metà anni ’60, finì alla Rand Corporation, un think tank fondato dal Pentagono, dove gli venne assegnato un curioso compito: il “Vietnam Motivation and Morale Project”. Doveva indagare sul morale dei nord-vietnamiti, all’epoca bombardati con il napalm giorno e notte dall’America ma apparentemente non ancora propensi ad arrendersi. Konrad andò a Saigon, interrogò centinaia di vietcong prigionieri, scrisse un rapporto di migliaia di pagine e lo consegnò al suo capo. Il quale lesse e andò in giro a spiegarne le conclusioni a tutti i generali americani: i vietcong erano con il morale a pezzi, bastava bombardarli ancora un po’ e la guerra sarebbe finita. Inutilmente Kellen, dopo avere passato una vita ad ascoltare, cercò allora di fare sentire la propria voce: le sue conclusioni erano opposte, i vietcong non si sarebbero mai arresi, avrebbero continuato a combattere anche nella certezza di non poter vincere. Dunque la guerra non sarebbe mai finita, a meno che l’America si ritirasse. Dopo mille insistenze riuscì nel 1968 a fissare un colloquio con Kissinger, l’architetto del conflitto in Indocina e successivamente potentissimo segretario di Stato: si sarebbero potuti perfino parlare in tedesco, la loro lingua natia, Kellen pensava di poterlo convincere.
Ma all’ultimo momento il colloquio fu annullato per un altro impegno. Poi non si fece più. L’America si ritirò dal Vietnam solo nel 1975. E nel frattempo anche Kellen si era ritirato, in una casa in California affacciata al mare con un quadro di Chagall appeso al muro, dove è morto nel 2007 a 93 anni.
Ora un inglese cresciuto in Canada e diventato famoso in America, Malcom Gladwell, giornalista del New Yorker, autore di best-seller internazionali come Il punto critico, In un batter di ciglia e Fuoriclasse, ha rinvenuto le sue carte e raccontato la sua storia in un programma radiofonico per la Bbc. La specialità di Gladwell è scovare minuscole verità che capovolgono una consuetudine, uno stereotipo: per ottenere grandi risultati basta un piccolo cambiamento, l’istinto e la prima impressione contano più di tanti ragionamenti, il successo è il risultato di disciplina, studio e determinazione più che del talento, cose così. Il messaggio che lo ha affascinato nella storia romanzesca di Konrad Kellen è altrettanto semplice: essere un buon ascoltatore è una dote importante. Ma più sei bravo ad ascoltare, meno la gente ti sta a sentire.


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