Un governo nel limbo per il congresso pd e la guerra nel Pdl

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Solo a quel punto, e dunque con ogni probabilità a fine anno, sarà possibile capire se il governo delle larghe intese di Enrico Letta, che ha come garante il Quirinale, avrà davanti poche settimane di vita o un altro anno almeno di legislatura. Per il momento, dietro una confusione indistinta si possono indovinare soltanto le forze che spingono in una direzione o nell’altra; e che spuntano nei maggiori partiti della coalizione.
Che la tregua raggiunta dal Pdl al Senato il giorno della fiducia a Letta fosse finta, era chiaro dall’inizio. Berlusconi e i suoi guastatori avevano assecondato il «sì» dei ministri e di un gruppo di senatori solo per non trovarsi col partito spezzato in due; e in contrasto con un’Italia che non vuole l’instabilità. Era anche prevedibile che le tensioni riaffiorassero mentre ci si avvicinava alle riunioni del Parlamento che sanciranno l’uscita di scena del Cavaliere. Meno scontata era la difficoltà berlusconiana a tenere insieme tutto e tutti come in passato. Evidentemente, lo strappo di inizio ottobre non ha provocato, ma rivelato il declino della sua leadership.
E almeno finora non sono bastati riunioni e conciliaboli a ripetizione per smentire questa novità. L’ultimo incontro c’è stato ieri con il vicepremier Angelino Alfano e il ministro della Difesa montiano, Mauro Mauro. Ma il problema è il resto del Pdl, che dietro la parola d’ordine di Raffaele Fitto sull’«azzeramento delle cariche» punta a unificare tutti gli avversari delle larghe intese. E usa come polo d’attrazione la difesa di Berlusconi di fronte alla prospettiva della decadenza.
È un gioco a rinviare di fatto la decisione, ingaggiando una guerriglia sui tempi che potrebbe portare il responso politico a ridosso di quello sull’interdizione dai pubblici uffici, spettante alla magistratura. In quel caso, a escludere il Cavaliere dalle aule parlamentari non sarebbe la giunta per le elezioni ma la Corte di cassazione. E dunque, verrebbe eliminata la ragione per la quale il centrodestra ha minacciato finora di far cadere il governo: l’«aggressione» del Pd al suo principale avversario ma oggi anche alleato. Ma sono manovre sul filo del rasoio. Debbono fare i conti col calcolo del Movimento 5 Stelle e con i giochi congressuali del Pd.
Beppe Grillo vuole la «decapitazione» di Berlusconi in Parlamento; e, per motivi diversi, lo vuole la parte del Pd meno convinto dell’appoggio a Letta e pronto a sostenere Matteo Renzi, al congresso di dicembre. Il sindaco di Firenze punta alla segreteria con accenti fortemente ostili a Berlusconi. Ed è consapevole che la decadenza dell’ex premier creerebbe forti tensioni fra Enrico Letta, Alfano e i ministri di centrodestra. D’altronde, il timore del Pd è di essere attaccato dal movimento grillino e di trovarsi esposto, in caso di voto anticipato, all’accusa


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