La terra spezzata

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Ma soprattutto per dividersi da chi non era come lui, da chi viveva in modo diverso. Appena è uscito dalla dimensione famigliare, e si è organizzato in società più ampie, ha cominciato a temere l’Altro. E ciò accade ancora oggi. Solo pochi giorni fa la Gran Bretagna ha chiesto all’Europa di alzare un muro contro “i bulgari”, gli afgani, gli africani.
Anche nella mia esperienza, il muro è anzitutto quello della separazione: il muro del ghetto. Quello che i nazisti costruirono attorno al quartiere ebraico dove vivevo con la mia famiglia a Varsavia. Lo fecero per segregare dalla società “giusta e pulita” chi, a loro avviso, era portatore della peste. Ma detto questo, anche i muri cadono. E quando non cadono, possono essere aggirati.

E se non riusciamo a distruggerli possiamo conferirgli dignità, facendoli addirittura portatori di un messaggio di libertà. È quanto accadde con il Muro di Berlino, prima del 1989, quando decine di pittori e di artisti lo resero un gigantesco tazebao. Quel muro era stato “liberato”, ed era diventato una sorta di portavoce delle proteste. C’era gente che veniva dal mondo intero per ammirarlo: non in quanto calce e pietra dietro cui viveva una popolazione reclusa, ma in quanto grido di dissenso al quale ognuno poteva aggiungere un proprio segno, firmando quella petizione universale contro la schiavitù. Lo stesso avviene oggi con il Muro che separa israeliani e palestinesi, tutto dipinto e colorato da chi manifesta il proprio disaccordo, facendolo diventare un muro parlante. Sono certo che siano parlanti anche i muri che tagliano gli Stati Uniti dal Messico e Gibilterra dall’Africa.
Esistono anche muri che hanno la valenza di un ponte. Il Muro del pianto, per esempio, che cingeva il lato occidentale del Tempio di Gerusalemme. Oggi è il luogo dove inviamo a Dio i nostri desideri e le nostre preghiere. Una sorta di cassetta postale tra noi e Dio.


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