Crescono le tensioni tra leader pd e Nuovo centrodestra

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Il modo in cui ieri i seguaci del segretario del Pd, Matteo Renzi lo hanno attaccato, chiedendo «un ministro politico», per poi precisare che non ne chiedevano le dimissioni, fotografano la contraddizione. Nelle parole di Dario Nardella si è colta l’insoddisfazione per una strategia economica che non sta ancora dando i risultati sperati; e insieme il timore che affondando Saccomanni il Pd possa essere accusato di destabilizzare il governo di Enrico Letta.

L’ipotesi di un rimpasto galleggia sullo sfondo come occasione per rafforzare un esecutivo soggetto a tensioni interne ed esterne. Ma l’episodio di ieri probabilmente porta acqua al mulino di quanti, a cominciare dal premier, temono che cambiare ministri in una situazione così precaria possa aprire conflitti senza fine. Lo stesso vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano, ieri lo ha liquidato come una non priorità del 2014. Il timore di palazzo Chigi che il rimpasto possa essere il cavallo di Troia di una crisi di governo, rimane; come rimane a proposito di una riforma elettorale che Renzi vorrebbe a tappe accelerate.
È ancora Alfano, accusato di volerla ritardare, a parlare di «inizio di febbraio»; e ad esorcizzare elezioni anticipate dicendo a Renzi: «Siamo convinti che non userà l’approvazione rapida della legge per tornare al voto». E ancora: «Mi fido di Renzi che «ha detto pubblicamente che il governo può andare avanti fino al 2015». Anche perché se affermasse una cosa e ne facesse un’altra, ha aggiunto, si comporterebbe come «i vecchi politicanti». Parole che in realtà confermano quanto tutto rimanga segnato dalla diffidenza.
I rapporti tra Nuovo centrodestra e Pd sembrano destinati a peggiorare. La proposta di Renzi per creare posti di lavoro ( il cosiddetto «jobs act») è bollata da Alfano come «la zuppa di sempre»: un giudizio più vicino a quello di Forza Italia che a quello del governo. E il Pd sta tentando di mettere sotto scacco Alfano come ministro dell’Interno, riaprendo in Parlamento il caso scabroso della donna kazaka e della figlioletta espulse nel maggio scorso. E questo mentre il partito di Silvio Berlusconi gli suggerisce di rompere quanto prima con Enrico Letta; e punzecchia il vertice del Pd e palazzo Chigi sostenendo che Renzi non vuole rimpasti perché ritiene finito il governo.
Eppure, la fase suggerisce prudenza e comportamenti coerenti. I richiami arrivati ieri da presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sono moniti da non sottovalutare. «Sarei molto, molto cauto», ha avvertito Draghi, «nel dichiarare vittoria e dire che la crisi è sconfitta». La ripresa è lenta, e rimarrà tale sia nel 2014 che nel 2015. Non per nulla, gli ultimi scivoloni del governo sono stati riparati in fretta per cancellare l’impressione di una coalizione allo stremo. E ieri Letta ha intimato alla propria maggioranza «un cambio di passo» per l’anno in corso. Ma i distinguo di Renzi pesano; e il loro incontro rinviato alla settimana prossima diventa la metafora di un dialogo che fatica a partire davvero.

 


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