La freddezza di Maroni e Zaia. E la base si spacca

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MILANO — Alla fine, in qualche modo il freno è stato premuto. L’ormai famosa rubrica «Qui Cécile Kyenge» che avrebbe dovuto tener traccia di tutti i pubblici spostamenti della ministra all’Integrazione, cambierà fisionomia. Lo dice Matteo Salvini, il segretario padano: «Ma quale razzismo. Il nostro è un focus sui ministri inutili. E infatti sulla Padania di domani (oggi), ci sarà un “Qui Flavio Zanonato” che in queste ore è in Cina a fare chissà che cosa».
Insomma, quello che era partito o, come minimo, pareva essere l’ennesimo atto di ostilità nei confronti della ministra congolese, viene normalizzato a iniziativa contro tutti i «ministri inutili». Resta il fatto che il nuovo attacco del Carroccio alla ministra per l’integrazione Cécile Kyenge è solo l’ultimo di una lunga serie che ha avuto i suoi sovracuti nel paragone di Roberto Calderoli con gli oranghi e nel lancio di banane avvenuto in Romagna. Ma le sortite e le vere e proprie offese sono tali e tante che Gianluca Luciano ed Eugenio Balsamo ci hanno scritto sopra un libro, «I giorni della vergogna», alla cui presentazione ha partecipato ieri sera la ministra stessa.
Non c’è dubbio che certe sortite di Salvini, o a cui Salvini fornisce il via libera, non piacciano troppo alla maggior parte degli esponenti della Lega di governo. Non una parola sull’argomento che ha infiammato la giornata è venuta da Roberto Maroni, non una sillaba da Luca Zaia. Gli esegeti del loro pensiero, i collaboratori più vicini, parlano di «fastidio» nei confronti di un’iniziativa «che rischia di trasformare in martire una tizia messa lì per pure ragioni ideologico-spartitorie e che si limita a fare propaganda».
La preoccupazione per i governatori, ma anche per sindaci e assessori, è che Salvini imprima alla Lega una fisionomia eccessivamente di destra, eccessivamente razzista e xenofoba. In grado di ridare le antiche emozioni ai cuori dei militanti più legati al passato. Ma capace per contro di allontanare gli elettori meno oltranzisti e meno ideologizzati. «Non siamo sicuri che campagne come questa ci garantiscano neppure tutti i voti di quelli che avrebbero già votato per noi. Oggi tutti sono molto più preoccupati dal lavoro che non c’è e dalla crisi economica».
Sarà così? Forse. Eppure, non c’è il minimo dubbio: in un solo mese di segreteria, Salvini è riuscito a ridare prospettiva a una militanza che aveva attraversato una crisi di motivazione vistosa. Svelto come un gatto su tutte le palle, conoscitore dei suoi sostenitori grazie a un rapporto ventennale, il neosegretario ha suscitato nella base — e anche nei passanti che si fermano incuriositi ai gazebo della Lega — un entusiasmo che non si vedeva da un pezzo. Basterà a risalire nei consensi della pubblica opinione? Per ora, i sondaggi sono ancora sconfortanti. Eppure, la cura Salvini nei prossimi mesi continuerà martellante. E potrebbe rianimare il partito. Certo, c’è anche chi avanza un altro dubbio: «Finirà come è sempre finita a Milano: il pienone di voti per Salvini, e il resto del movimento a piangere». Chissà. Resta il fatto che il fiuto di Salvini per quel che piace ai suoi elettori ormai ha superato più di una prova.
Dell’iniziativa di ieri, si assume la responsabilità Aurora Lussana, la direttrice della Padania, sia pure dopo averne concordato i contenuti con il segretario. Il punto, osserva, è che «sono stati i nostri lettori a sollecitarci a mettere a nudo l’imperatore. Da Kyenge non arriva una proposta di legge, non un fatto concreto. Arrivano continue cittadinanze ordinarie e la sua interpretazione del ruolo è un perenne tour propagandistico. Una cosa che fa arrabbiare tanta gente. Anche al di là del fatto che ci siano problemi più urgenti». Insomma, la vecchia strategia dell’indicare il nemico — la ministra, l’euro — alla fine potrebbe funzionare ancora una volta.
Marco Cremonesi


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