Guantanamo, la vergogna in un film presentato al Sundance

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È una Guantanamo infinita e diventata sinonimo di maltrattamenti e di abusi quella raccontata dal film presentato al Sundance Festival “Camp X Ray”. Nel famigerato campo di prigionia cubano una giovane guardia militare mette in discussione il trattamento disumano dei suoi detenuti. La protagonista, giovane e donna scappata dalla provincia americana, si spinge fino a solidarizzare con uno dei prigionieri islamici.

La presentazione della pellicola non è sfuggita all’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, che ha attaccato a testa bassa l’amministrazione Obama per il fallimento e la retromarcia sulla chiusura della prigione-simbolo dell’era Bush. Era il 22 gennaio 2009 quando il neopresidente firmava l’ordine esecutivo per chiudere Guantanamo. Cinque anni dopo la struttura continua a restare aperta, un evidente esempio dei doppi standard adottati dagli Usa nel campo dei diritti umani.

«Una promessa non mantenuta», la definisce Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «Avevamo preso con entusiasmo e fiducia perché sembrava la fine di un epoca, ma così non è stato: la guerra scatenata da Bush non si è ancora fermata perché gli strumenti sono ancora usati: torture (come il waterboarding, una forma di annegamento controllato per estorcere confessioni) interrogatori illegali, centri segreti, mancanza di risarcimenti per detenzioni ingiuste, nessuna inchiesta sui metodi disumani. Nel corso degli anni Obama ha trovato sempre degli alibi ma lui è il presidente della svolta che ha vinto con la promessa della fine di questo scempio».

A dodici anni di distanza dai primi arrivi restano nell’enclave Usa a Cuba oltre 150 detenuti, la maggior parte dei quali senza accusa né processo. Nove sono morti (sette dei quali per suicidio) dal lontano 2002.

Alcuni di loro sta affrontando un iter giudiziario che non rispetta gli standard internazionali sul giusto processo. Cosa succede?
«Abbiamo notizie di sei detenuti processati da commissioni militari e classificati come “combattenti nemici” che noi riteniamo debbano essere processati da Corti civili, non con il rischio della pena capitale».

I numeri dell’evidente forzatura giuridica sono impietosi: dei quasi 800 detenuti passati da Guantanamo, meno dell’uno per cento è stato condannato e nella maggior parte dei casi a seguito di un patteggiamento. Un altro pasticcio è quello dei rimpatri, cosa non funziona?
«Buona parte dei 615 rilasciati non sono stati rimandati a casa perché non erano in grado di controllarli o perché impossibile rispedirli in Paesi che non garantiscono per la loro sicurezza. Washington in pratica si aspetta da altri paesi ciò che essi rifiutano di fare: accogliere i detenuti rilasciati che non possono essere rimpatriati».

Emblematico il trasferimento, lo scorso dicembre, di tre cinesi di etnia uigura da Cuba alla Slovacchia dopo che erano trascorsi più di cinque anni dalla sentenza che aveva giudicato illegale la loro detenzione…
«In questo pantano gli Usa hanno chiesto ad altri Paesi amici di toglierli da un impiccio: Albania, Isole Bermude e Slovacchia hanno risposto all’appello. Così si decide di non incriminarli e poi spedirli dall’altra parte del mondo».

Come è stato possibile?
«I detenuti di Guantanamo rimangono in un limbo, le loro vite sospese da anni. Molti di essi hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la sparizione forzata e la tortura, ma ad oggi l’accesso a un rimedio giudiziario è stato sistematicamente bloccato».

Da dove vengono?
«Per anni c’è stata una compravendita di persone in Afghanistan e Pakistan: sospetti combattenti consegnati alle forze Usa in cambio di soldi. Un mercato per gente che spesso non centrava nulla».

Un paradosso della dottrina della democrazia da esportare: anno dopo anno, mentre tenevano aperto Guantanamo, gli Usa hanno continuato a proclamare il loro impegno per gli standard internazionali sui diritti umani. Quale soluzione auspicate?
«Amnesty International chiede di assicurare indagini indipendenti e imparziali su tutte le denunce credibili di violazioni dei diritti umani. Le conclusioni di queste indagini dovrebbero essere rese pubbliche e chiunque venisse giudicato responsabile dovrebbe essere portato di fronte alla giustizia, a prescindere dal suo attuale o passato rango». Una Corte internazionale di giustizia a stelle e strisce vista con sospetto da tutti i presidenti americani. Obama compreso.uantanamo, la vergogna in un film presentato al Sundance

Al festival del cinema indipendente, il film “Camp X Ray” mostra una soldatessa americana che mette in discussione il trattamento disumano dei detenuti. E Amnesty International attacca: “Nonostante le promesse di Obama non è ancora cambiato nulla”

di Michele Sasso Guantanamo, la vergogna in un film presentato al Sundance L’attrice Kristen Stewart in una scena del film È una Guantanamo infinita e diventata sinonimo di maltrattamenti e di abusi quella raccontata dal film presentato al Sundance Festival “Camp X Ray”. Nel famigerato campo di prigionia cubano una giovane guardia militare mette in discussione il trattamento disumano dei suoi detenuti. La protagonista, giovane e donna scappata dalla provincia americana, si spinge fino a solidarizzare con uno dei prigionieri islamici.

La presentazione della pellicola non è sfuggita all’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, che ha attaccato a testa bassa l’amministrazione Obama per il fallimento e la retromarcia sulla chiusura della prigione-simbolo dell’era Bush. Era il 22 gennaio 2009 quando il neopresidente firmava l’ordine esecutivo per chiudere Guantanamo. Cinque anni dopo la struttura continua a restare aperta, un evidente esempio dei doppi standard adottati dagli Usa nel campo dei diritti umani.

«Una promessa non mantenuta», la definisce Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «Avevamo preso con entusiasmo e fiducia perché sembrava la fine di un epoca, ma così non è stato: la guerra scatenata da Bush non si è ancora fermata perché gli strumenti sono ancora usati: torture (come il waterboarding, una forma di annegamento controllato per estorcere confessioni) interrogatori illegali, centri segreti, mancanza di risarcimenti per detenzioni ingiuste, nessuna inchiesta sui metodi disumani. Nel corso degli anni Obama ha trovato sempre degli alibi ma lui è il presidente della svolta che ha vinto con la promessa della fine di questo scempio».

A dodici anni di distanza dai primi arrivi restano nell’enclave Usa a Cuba oltre 150 detenuti, la maggior parte dei quali senza accusa né processo. Nove sono morti (sette dei quali per suicidio) dal lontano 2002.

Alcuni di loro sta affrontando un iter giudiziario che non rispetta gli standard internazionali sul giusto processo. Cosa succede?
«Abbiamo notizie di sei detenuti processati da commissioni militari e classificati come “combattenti nemici” che noi riteniamo debbano essere processati da Corti civili, non con il rischio della pena capitale».

I numeri dell’evidente forzatura giuridica sono impietosi: dei quasi 800 detenuti passati da Guantanamo, meno dell’uno per cento è stato condannato e nella maggior parte dei casi a seguito di un patteggiamento. Un altro pasticcio è quello dei rimpatri, cosa non funziona?
«Buona parte dei 615 rilasciati non sono stati rimandati a casa perché non erano in grado di controllarli o perché impossibile rispedirli in Paesi che non garantiscono per la loro sicurezza. Washington in pratica si aspetta da altri paesi ciò che essi rifiutano di fare: accogliere i detenuti rilasciati che non possono essere rimpatriati».

Emblematico il trasferimento, lo scorso dicembre, di tre cinesi di etnia uigura da Cuba alla Slovacchia dopo che erano trascorsi più di cinque anni dalla sentenza che aveva giudicato illegale la loro detenzione…
«In questo pantano gli Usa hanno chiesto ad altri Paesi amici di toglierli da un impiccio: Albania, Isole Bermude e Slovacchia hanno risposto all’appello. Così si decide di non incriminarli e poi spedirli dall’altra parte del mondo».

Come è stato possibile?
«I detenuti di Guantanamo rimangono in un limbo, le loro vite sospese da anni. Molti di essi hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la sparizione forzata e la tortura, ma ad oggi l’accesso a un rimedio giudiziario è stato sistematicamente bloccato».

Da dove vengono?
«Per anni c’è stata una compravendita di persone in Afghanistan e Pakistan: sospetti combattenti consegnati alle forze Usa in cambio di soldi. Un mercato per gente che spesso non centrava nulla».

Un paradosso della dottrina della democrazia da esportare: anno dopo anno, mentre tenevano aperto Guantanamo, gli Usa hanno continuato a proclamare il loro impegno per gli standard internazionali sui diritti umani. Quale soluzione auspicate?
«Amnesty International chiede di assicurare indagini indipendenti e imparziali su tutte le denunce credibili di violazioni dei diritti umani. Le conclusioni di queste indagini dovrebbero essere rese pubbliche e chiunque venisse giudicato responsabile dovrebbe essere portato di fronte alla giustizia, a prescindere dal suo attuale o passato rango». Una Corte internazionale di giustizia a stelle e strisce vista con sospetto da tutti i presidenti americani. Obama compreso.


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