Afghani al voto contro Karzai

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«Sono stato il primo a votare. Ero davanti all’ingresso alle 6 del mat­tino. No, non ho paura dei Tale­bani. Rap­pre­sen­tano il pas­sato, e noi dob­biamo pen­sare al futuro». Haroun Naye­b­zai mostra con orgo­glio l’indice, mac­chiato d’inchiostro blu. È il segno che ha votato. Non potrà farlo due volte, almeno sulla carta: per impe­dire i voti mul­ti­pli, gli uomini della Com­mis­sione elet­to­rale indi­pen­dente fanno immer­gere il dito degli elet­tori nell’inchiostro, poi aggiun­gono uno spray che si illu­mina sotto la luce. Una dop­pia pre­cau­zione con­tro le frodi. Sosten­gono che sia effi­cace. Poco più che ven­tenne, Naye­b­zai è uno dei tanti osser­va­tori legati ai can­di­dati pro­vin­ciali. Ieri infatti gli afghani hanno votato per il rin­novo dei 34 Con­si­gli pro­vin­ciali, oltre che per il suc­ces­sore di Hamid Kar­zai, al potere dal 2001. Prima che osser­va­tore, Nayez­bai si sente però un cit­ta­dino che crede nella forza del voto. «Per cam­biare le cose, man­dare a casa Kar­zai e far inse­diare Ash­raf Ghani». È lui il can­di­dato che va per la mag­giore a Jala­la­bad, cuore della pro­vin­cia di Nana­ga­rhar a pre­va­lenza pash­tun, a pochi chi­lo­me­tri dal Pakistan.

Nella facoltà di Medi­cina a Nan­ga­rhar – tra­sfor­mata in seg­gio elet­to­rale – tutti dicono di aver votato per lui. I gio­vani soprat­tutto: Nasir Ahmad Shi­n­wari ha 19 anni. Anche lui sem­bra riporre grandi aspet­ta­tive nel tec­no­crate, già fun­zio­na­rio della Banca mon­diale e, in Afgha­ni­stan, mini­stro delle Finanze e respon­sa­bile della tran­si­zione, il pro­cesso con cui gli inter­na­zio­nali tra­sfe­ri­scono la respon­sa­bi­lità mili­tare agli afghani. «È l’unico che può tra­sfor­mare il paese. Gli altri can­di­dati sono tutti cor­rotti o ex coman­danti mili­tari». Eppure anche Ghani si è scelto come even­tuale vice-presidente un ex «war­lord», Abdul Rashid Dostum, lea­der della comu­nità uzbeca, fon­da­tore del par­tito Jumbesh-e-Milli, con le mani spor­che di san­gue. «È la poli­tica: per vin­cere devi otte­nere più voti pos­si­bili, e Dostum ne ha 3 milioni», replica con rea­li­smo Shi­n­wari. Non appena fini­sce di par­lare arriva il «pezzo grosso»: il nuovo gover­na­tore di Nan­ga­rhar, Attaul­lah Ludin, che sosti­tui­sce Gul Agha Sher­zai, dimes­sosi per pre­sen­tarsi alle pre­si­den­ziali. Ludin entra nel seg­gio seguito da un codazzo di nota­bili, uffi­ciali della poli­zia e dell’esercito, gior­na­li­sti locali. Aspetta il col­le­ga­mento tele­vi­sivo da Kabul per riporre le schede nelle urne di pla­stica tra­spa­rente. Segue il discorso del capo della Poli­zia pro­vin­ciale, il gene­rale Fazel Hah­mad Sher­zad: «Mi assumo per­so­nal­mente la respon­sa­bi­lità. Votate», dice.

Alle 16 locali, alla chiu­sura dei seggi, in tutta la pro­vin­cia non viene regi­strato nes­sun attacco signi­fi­ca­tivo. Nel paese i morti sono 10, distri­buiti nelle varie pro­vince: i Tale­bani non sono riu­sciti a sabo­tare il pro­cesso elet­to­rale come ave­vano minac­ciato. Una scon­fitta per loro e un suc­cesso per gli afghani che hanno deciso di votare. Non sono sol­tanto i gio­vani ad averlo fatto. A un chi­lo­me­tro dalla facoltà di Medi­cina vengo accolto nell’ufficio elet­to­rale di un can­di­dato locale, l’ingegnere (qui il titolo conta) Haji Rais Khan. Ha buone pro­ba­bi­lità di essere eletto. Die­tro di lui ci sono infatti i nota­bili locali come Haji Gul Miran. È un malek, a metà tra il lea­der reli­gioso e comu­ni­ta­rio. Con­trolla uno dei distretti più tur­bo­lenti dell’intera pro­vin­cia, Cha­pa­rhar, che fa quasi 60.000 abi­tanti. Siede su dei cuscini, insieme ad altri 6 anziani con la barba lunga. Mostrano il dito: hanno tutti votato. Non ce l’hanno con Kar­zai, che «ha fatto quanto poteva, il paese par­tiva da zero», ma vogliono vol­tare pagina. Uno di loro dice di aver votato per Ghani, «per­ché noi siamo vec­chi, è tempo di dare spa­zio ai gio­vani, Ghani è l’unico che lo farà». Il malek Haji Gul Miran non con­corda: «Ghani è com­pe­tente, ma Dostum è un kil­ler». Per lui il can­di­dato migliore è Qut­bud­din Helal, soste­nuto da Gul­bud­din Hek­ma­tyar, lea­der del par­tito radi­cale isla­mi­sta Hezb-e-Islami. «Tra tutti, è l’unico can­di­dato che non è soste­nuto dai paesi stra­nieri», dice il malek, che riven­dica la mili­tanza nel par­tito di Hek­ma­tyar. «E’ l’unico che non fir­merà il trat­tato mili­tare con gli ame­ri­cani», aggiunge Haji Gul Miran, per il quale «è fon­da­men­tale avere buoni rap­porti con gli stra­nieri, ma senza diven­tarne schiavi, e gli ame­ri­cani dove vanno fanno danni». Il can­di­dato di Hek­ma­tyar non verrà eletto, ma potrebbe posi­zio­narsi al quarto, quinto posto.

In molti si dicono sicuri che nell’eventuale bal­lot­tag­gio tra Ash­raf Ghani e il dot­tor Abdul­lah, l’Hezb-e-Islami sosterrà Ghani. L’importante è che all’Arg, il palazzo pre­si­den­ziale, non entri Abdul­lah, il rap­pre­sen­tante del Jamiat-e-Islami, il par­tito a pre­va­lenza tajika, forte soprat­tutto al nord. «I tajiki non sono veri afghani, ma ormai vivono qui da molto tempo e li accet­tiamo», dice Haji Gul Miran. «Ma un pre­si­dente tajiko, que­sto no. Se dovesse vin­cere Abdul­lah, verrà lan­ciato un jihad con­tro di lui». Per lui, lo scet­tro del potere deve rima­nere nelle mani di un pash­tun. Come è da 200 anni a que­sta parte.


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