Capitali privati, controllo pubblico

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La lista delle imprese grandi e medio grandi in dif­fi­coltà nel nostro paese non cessa di allun­garsi nel tempo. Nell’ultimo anno abbiamo regi­strato le dif­fi­coltà di varia natura e pro­fon­dità dell’Ilva, dell’Alitalia (ora forse in via di acqui­si­zione da parte degli arabi), del gruppo Ligre­sti (peral­tro assor­bito poi dall’Unipol), dell’Indesit (attual­mente in ven­dita al miglior offe­rente), di almeno alcuni set­tori della Fin­mec­ca­nica (tra­sporti ed ener­gia), di Tele­com Ita­lia (le cui vicende meri­te­reb­bero da sole la ste­sura di molti volumi), non­ché di diverse ban­che, a par­tire dal Monte dei Paschi di Siena. Sem­pre nell’ultimo anno abbiamo regi­strato dei casi di ces­sione di impor­tanti società nazio­nali, men­tre si rin­cor­rono le voci di ven­dita di diverse altre imprese nazio­nali di rilievo a gruppi stra­nieri.
All’origine sto­rica di tali dif­fi­coltà stanno da molto tempo, come è noto, la debo­lezza di una classe impren­di­to­riale in gran parte ina­de­guata ai muta­menti in atto nel mondo, le poli­ti­che incon­si­stenti del set­tore ban­ca­rio, e quelle infine nefa­ste, quando non ine­si­stenti, dei vari governi al comando in que­sti anni. Va aggiunto poi l’intreccio per­verso da sem­pre esi­stente tra tali attori. Ai mali sto­rici si sono aggiunti nell’ultimo periodo pro­blemi ulte­riori, quali l’incidere pro­gres­sivo dei pro­cessi di inter­na­zio­na­liz­za­zione e l’avanzare della crisi. Che cosa si potrebbe fare per far ripar­tire un sistema che, in man­canza di inter­venti che vadano al di là delle emer­genze imme­diate, sem­bra desti­nato a dif­fi­coltà sem­pre più gravi?
Pro­viamo prima a pas­sare in ras­se­gna i prin­ci­pali casi indu­striali del nostro paese. Per quanto riguarda l’Ilva, die­tro le dif­fi­coltà ambien­tali, pur molto rile­vanti e che l’attuale com­mis­sa­rio non sem­bra stia vera­mente affron­tando, c’è un grave pro­blema stra­te­gico. Oggi l’azienda nel suo com­plesso è col­lo­cata intorno al 25° posto nella clas­si­fica mon­diale dei pro­dut­tori di acciaio. La dina­mica con­cor­ren­ziale mon­diale vede la pre­senza di gruppi sem­pre più grandi, pre­senti con grandi inve­sti­menti in tutti i con­ti­nenti, con la ten­denza anche ad un’integrazione ver­ti­cale. I cinesi da soli nel 2012 pro­du­cono più del 50% dell’acciaio mon­diale. Il gruppo ita­liano manca invece del tutto dei capi­tali, delle risorse orga­niz­za­tive, dei mer­cati (esso è pre­sente in misura rile­vante in Ita­lia e un poco in Europa), ade­guati per reg­gere la con­cor­renza. Sem­bra si stiano facendo avanti degli impren­di­tori ita­liani che vor­reb­bero rile­vare solo un’Ilva ridi­men­sio­nata. Il che non sarebbe certo ideale per la nostra eco­no­mia.
In una situa­zione per alcuni aspetti non molto diversa si trova l’Indesit. Pre­met­tiamo che si tratta di un’impresa oggi in utile, ma anche in que­sto caso essa si trova a fat­tu­rare 2,5 miliardi di euro all’anno con una pre­senza com­mer­ciale e pro­dut­tiva impor­tante sol­tanto in alcuni paesi euro­pei; anche in que­sto caso i cinesi pro­du­cono circa il 50% di tutto il volume d’affari del set­tore, men­tre la Sam­sung fat­tura sui 160 miliardi di dol­lari, anche se si tratta di un gruppo diver­si­fi­cato. I pro­dut­tori tede­schi sem­brano reg­gere la con­cor­renza gra­zie all’inserimento nella fascia alta del mer­cato, men­tre la Inde­sit è intrap­po­lata in mezzo, bar­ca­me­nan­dosi tra fascia alta e bassa, e non rie­sce a fron­teg­giare ade­gua­ta­mente la stra­te­gia tede­sca, appa­ren­te­mente l’unica via di sal­vezza pos­si­bile per un pro­dut­tore occi­den­tale.
Per quanto riguarda l’Alitalia, ai gravi pro­blemi sto­rici della società che imper­ver­sano da più di cin­quanta anni (cor­ru­zione, forte inva­denza poli­tica, cat­tivo livello del ser­vi­zio, sovraoc­cu­pa­zione, orga­niz­za­zione ple­to­rica, ecc.), si sono aggiunti da una parte la crisi e la con­cor­renza della linee aeree low cost e dell’alta velo­cità fer­ro­via­ria, dall’altra gli errori stra­te­gici di un mana­ge­ment ina­de­guato. In Europa si regi­stra una ple­tora di pro­dut­tori, con ten­denza alla con­cen­tra­zione, risul­tati medio­cri dal punto di vista eco­no­mico anche per le com­pa­gnie migliori, tranne che per il low cost.
Una delle vicende più tri­sti è poi quella di Tele­com Ita­lia, gruppo che, a par­tire dalla sua non troppo bril­lante pri­va­tiz­za­zione, è stato pro­gres­si­va­mente spo­gliato delle sue risorse e poten­zia­lità, men­tre è for­te­mente cre­sciuto il suo livello di inde­bi­ta­mento e sono stati note­vol­mente ridotti gli inve­sti­menti in grado di man­te­nerla in prima linea nella lotta con­cor­ren­ziale. Essa si trova oggi in un mare di incer­tezze stra­te­gi­che e sul con­trollo azio­na­rio.
Infine, per quanto riguarda Fin­mec­ca­nica, i set­tori dell’energia e dei tra­sporti si tro­vano da tempo in una situa­zione dif­fi­cile e da alcuni anni il mana­ge­ment sta cer­cando di sba­raz­zar­sene; da molto tempo il gruppo ha del tutto tra­scu­rato alcune atti­vità in cui erano pre­senti impor­tanti com­pe­tenze tec­no­lo­gi­che ed indu­striali, per dedi­carsi esclu­si­va­mente a quelle militare-spaziali, ora in ten­den­ziali dif­fi­coltà, in pre­senza di una ridu­zione degli stan­zia­menti bel­lici dei prin­ci­pali governi occi­den­tali.
A que­sto punto, in man­canza di un forte inter­vento pub­blico, potrebbe suc­ce­dere il peg­gio. I vari governi, di cen­tro­de­stra e di cen­tro­si­ni­stra, hanno abban­do­nato da molto tempo l’idea stessa di poli­tica indu­striale ed inter­ven­gono solo con prov­ve­di­menti tam­pone ed improv­vi­sati a fronte del mani­fe­starsi di qual­che emer­genza grave, salvo il giorno dopo dimen­ti­care la que­stione, sino almeno alla crisi suc­ces­siva del paziente. Pen­siamo invece che dovrebbe essere pia­ni­fi­cata una stra­te­gia gene­rale di inter­vento, che riguardi tutti i casi attuali e quelli che pro­ba­bil­mente si mani­fe­ste­ranno in futuro.
Come è noto, in Fran­cia è stato per­fe­zio­nato un accordo tra il governo di quel paese ed una impresa cinese, la Dong­Feng, per venire in soc­corso della Peugeot-Citroen (PSA), che naviga in acque tem­pe­stose. I due part­ner inter­ver­ranno nel capi­tale della società, ognuno con il 15% del totale, men­tre il resi­duo 60% sarebbe lasciato, almeno per il momento, al mer­cato e alla fami­glia Peu­geot. Intanto sem­pre il governo fran­cese, dopo il suc­cesso del pro­getto Air­bus, ha pro­po­sto ai tede­schi di unire le forze nel set­tore delle ener­gie rin­no­va­bili. Nulla impe­di­sce nella sostanza che inter­venti di que­sto tipo siano avviati anche da noi.
In effetti, molte grandi e medio-grandi imprese, quelle sopra citate ed altre ancora, non hanno da noi, in tutto o in parte, le dimen­sioni ade­guate, le risorse finan­zia­rie, i mer­cati, le capa­cità stra­te­gi­che per soprav­vi­vere in maniera ade­guata, né sem­brano esservi degli altri gruppi nazio­nali che siano in grado da soli di rilan­ciare ade­gua­ta­mente le loro atti­vità. L’unica solu­zione in qual­che modo pra­ti­ca­bile appare, come nel caso fran­cese, quella di varare una poli­tica di alleanze con gruppi esteri, euro­pei od asia­tici, per fare in modo che le nostre imprese soprav­vi­vano. Tali gruppi, che dovreb­bero por­tare com­pe­tenze, risorse finan­zia­rie ed orga­niz­za­tive e mer­cati ade­guati, potreb­bero pren­dere delle par­te­ci­pa­zioni di mino­ranza impor­tante o anche di con­trollo, men­tre l’operatore pub­blico dovrebbe comun­que entrare nell’assetto pro­prie­ta­rio per assi­cu­rare alcuni inte­ressi nazio­nali di base, dalla tutela dell’occupazione a quella del man­te­ni­mento nel nostro paese di una pre­senza ade­guata. Ad inter­ve­nire potrebbe essere diret­ta­mente il Tesoro o una società in qual­che modo pub­blica, quale la Cassa Depo­siti e Pre­stiti, indi­riz­zando tale orga­ni­smo verso una mag­giore foca­liz­za­zione stra­te­gica e un più inci­sivo controllo.



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