Il muro del Mediterraneo

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Un avve­ni­mento in Europa ha avuto un’eco sim­bo­lica con­si­de­re­vole e con­se­guenze spet­ta­co­lari: si tratta dell’accelerazione della costru­zione del muro del Medi­ter­ra­neo. Per il momento è ancora una costru­zione vir­tuale, o più esat­ta­mente riguarda un com­plesso di isti­tu­zioni e di dispo­si­tivi diversi, di leggi, di polit­che pre­ven­tive e repres­sive, di accordi inter­na­zio­nali for­mali e infor­mali. Ma nell’insieme è ben chiaro lo scopo: si tratta di restrin­gere la libertà di circolazione.

Se non addi­rit­tura di annul­larla del tutto per alcune cate­go­rie di indi­vi­dui e di certi gruppi sociali defi­niti in ter­mini di cate­go­rie etni­che (quindi, alla fine, raz­ziali) e di nazionalità.

Abbiamo però già sotto gli occhi due rea­liz­za­zioni par­ziali di que­sto « muro » molto più con­crete: la loro stessa visi­bi­lità cri­stal­lizza molte ten­sioni sta­tu­ta­rie e degli aspetti spa­ziali del pro­blema della mobi­lità nella geo­po­li­tica attuale. Que­ste prime rea­liz­za­zioni con­crete, situate alle due estre­mità dello spa­zio medi­ter­ra­neo, hanno certo una sto­ria diversa, ori­gini e giu­sti­fi­ca­zioni spe­ci­fi­che, ma la loro somi­glianza mate­rale col­pi­sce chiun­que le abbia osser­vate dal vero o ne abbia visto le imma­gini suc­ces­sive. Cosa che sug­ge­ri­sce di ricer­care delle ana­lo­gie più pro­fonde. Si tratta, come avrete capito, del «muro» che lo stato di Israele costrui­sce nel ter­ri­to­rio pale­sti­nese occu­pato e delle for­ti­fi­ca­zioni in corso di raf­for­za­mento lungo le enclave spa­gnole di Ceuta e Melilla sulla costa maroc­china, che ormai, oltre alla rete di bar­riere elet­tri­fi­cate e delle torri di con­trollo, si accom­pa­gna a defo­re­sta­zioni, livel­la­menti, costru­zione di fos­sati e strade paral­lele ad uso militare.

Lo scopo del muro israe­liano è di bloc­care le incur­sioni di ter­ro­ri­sti pale­sti­nesi, in par­ti­co­lare gli atten­tati sui­cidi. Ma ha chia­ra­mente anche altre fun­zioni: respin­gere fuori dal ter­ri­to­rio israe­liano i lavo­ra­tori e i pale­sti­nesi in cerca di occu­pa­zione, divi­dere lo spa­zio e la società pale­sti­nese, allon­ta­nare i con­ta­dini dalle loro terre, pre­pa­rare l’imposizione uni­la­te­rale della «fron­tiera defi­ni­tiva» di Israele di modo che incor­pori nuove annes­sioni, e in par­ti­co­lare renda perenni le colo­nie ille­gali inse­diate nei ter­ri­tori occupati.

La mura­glia ispano-marocchina ha fatto irru­zione nell’attualità per le tra­gi­che vio­lenze della fine del 2005, pro­vo­cate da un nuovo dispe­rato ten­ta­tivo di oltre­pas­sare la fron­tiera da parte di immi­grati afri­cani, che erano stati con­cen­trati nei mesi e nelle set­ti­mane pre­ce­denti nelle zone limi­trofe. Lo scopo era dis­sua­dere dei gruppi di can­di­dati all’immigrazione, che del resto non erano in mag­gio­ranza ori­gi­nari del Marocco o dell’Algeria ma dell’Africa trans-sahariana, e che si con­cen­trano nei «punti di entrata» sul «ter­ri­to­rio euro­peo» dove tro­vano diverse pos­si­bi­lità di lavoro pre­ca­rio, sotto-pagato e ille­gale. Que­sti due muri hanno come carat­te­ri­stica comune di essere situati sulla riva meri­dio­nale del Medi­ter­ra­neo, dove ci sono delle enclave euro­pee (cioè delle enclave del «Nord» al «Sud») che pro­lun­gano a modo loro un lungo e com­plesso pas­sato colo­niale. Ma adesso la loro fun­zione si ampli­fica, e prendo il rischio di sug­ge­rire, in modo evi­den­te­mente iper­bo­lico, che si tratta di due seg­menti della «grande mura­glia» d’Europa.

La mia ipo­tesi ha qual­cosa di mostruoso, ne sono cosciente. Per­met­te­temi però di sca­vare ancora, con alcuni rife­ri­menti e imma­gini. In primo luogo, dob­biamo ricor­darci che nella sto­ria abiamo potuto osser­vare l’erezione di fron­tiere o di super-frontiere for­ti­fi­cate di sepa­ra­zione di spazi geo-politici, al di là degli stati e delle nazioni, asso­ciate a con­flitti rap­pre­sen­tati come guerre della civiltà asse­diata dai bar­bari, o come scon­tri tra sistemi poli­tici incom­pa­ti­bili. A volte sotto forma di mura­glie o di bar­riere fisi­che, altre sotto forme più mobili e tec­ni­ca­mente più com­plesse. Allora non pen­siamo solo più alla Mura­glia di Cina, ma al limesromano, o, in tutt’altro con­te­sto, alla bar­riera elet­tri­fi­cata costruita dall’esercito fran­cese durante la guerra d’Algeria alle due estre­mità del ter­ri­to­rio alge­rino, o ancora alla «cor­tina di ferro», il «Muro di Ber­lino» (che, va sot­to­li­neato, venne costruito dai regimi della dit­ta­tura comu­ni­sta, per proi­bire ai loro stessi cit­ta­dini di spo­starsi, di eser­ci­tare il «diritto di fuga», secondo l’espressione di San­dro Mez­za­dra). La sto­ria, quindi, con tutta la sua com­ples­sità, si ripete, ma su uno sfondo di nuove con­fi­gu­ra­zioni eco­no­mi­che, poli­ti­che, ideologiche.

Non si tratta di un feno­meno tipi­ca­mente euro­peo. Gli svi­luppi più simili sono quelli in corso alla fron­tiera degli Stati uniti e del Mes­sico, dove i primi hanno comin­ciato a costruire (anche se, que­sta volta, sul loro ter­ri­to­rio) una mura­glia mate­riale e vir­tuale il cui obiet­tivo è di bloc­care i punti di entrata per i migranti di tutta l’America latina (in par­ti­co­lare dell’America cen­trale) che tran­si­tano dal Mes­sico – non senza resi­stenze e con­trad­di­zioni negli Usa stessi, d’altronde, per­ché un blocco com­pleto esau­ri­rebbe la fonte di lavoro sotto-pagato e non pro­tetto che è uno dei mezzi per pre­ser­vare il livello di vita ame­ri­cano. Il muro esi­ste già lungo la fron­tiera cali­for­niana, e com­porta una serie di con­se­guenze disa­strose anche per l’ambiente.

Il suo pro­lun­ga­mento per cen­ti­naia di miglia, a un costo di miliardi di dol­lari, è ancora oggetto di vivaci discus­sioni, ma la deci­sione di prin­ci­pio è stata presa dal Con­gresso. E’ inte­res­sante ricor­dare che una delle prin­ci­pali giu­sti­fi­ca­zioni ideo­lo­gi­che di que­sto pro­getto è stata pro­cu­rata in que­sti ultimi anni da Samuel Hun­ting­ton, già autore di Clash of Civi­li­za­tion, e che in un’altra opera inti­to­lata Whoare we? (2004) svi­luppa a lungo l’analogia tra la «minac­cia arabo-islamica» sull’identità euro­pea e la «minac­cia ispa­nica» sull’identità sta­tu­ni­tense «anglo-sassone» e «protestante».



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