Ferrulli, assolti gli agenti: non fu omicidio

Ferrulli, assolti gli agenti: non fu omicidio

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MILANO . Assolti. Perché «il fatto non sussiste». A tre anni da quella notte alla periferia di Milano, dove Michele Ferrulli, manovale di 51 anni, morì mentre i poliziotti lo ammanettavano, la Corte d’assise stabilisce che quei quattro agenti non hanno ucciso, non hanno picchiato un uomo fino a provocargli la morte. Quel 30 giugno 2011, invece, hanno agito correttamente, usando la forza necessaria per fermare la sua resistenza.
Per i quattro poliziotti del commissariato Mecenate e dell’ufficio Volanti, la procura aveva chiesto sette anni di carcere per omicidio preterintenzionale.
Una lunga indagine, partita dalla tenacia della figlia della vittima, Domenica, 29 anni, che era riuscita a recuperare, in un campo rom, un telefonino col video e le voci degli ultimi minuti di vita del padre. Poi il dibattimento, durato quasi due anni, con le perizie sul cellulare, le testimonianze dei due amici romeni che erano con Michele a bere birra e ascoltare musica ad alto volume in via Varsavia, a pochi metri dall’Ortomercato. Nei fotogrammi si vedono i tre che scherzano e urlano in strada, l’arrivo delle volanti, Ferrulli che si muove verso gli agenti, uno di loro che agita una mano — per l’accusa è uno schiaffo, per la difesa un gesto inoffensivo — poi la vittima che scompare dietro un furgone, e quando ritorna nell’obiettivo del telefonino è a terra. I poliziotti lo circondano, tentano di ammanettarlo, l’uomo urla, chiede aiuto, muore.
Per la perizia della procura, Ferrulli aveva bevuto molto, era sofferente di ipertensione, e quando le fasi dell’arresto si fecero più concitate, venne colpito da una “tempesta emotiva” che ne provocò l’arresto cardiaco e la morte. Per il pm Gaetano Ruta, titolare dell’indagine, i quattro poliziotti avrebbero “percosso” Ferrulli con “violenza gratuita e non giustificabile”, tanto da avere come conseguenza non voluta il decesso. Ma l’accusa di omicidio preterintenzionale non ha superato il vaglio della Corte, presieduta dal giudice Guido Piffer, e della giuria popolare.
Alla lettura della sentenza, Domenica Ferrulli è scoppiata in lacrime, abbracciata e consolata da Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, morto a Varese nel giugno del 2008 in ospedale dopo essere stato portato nella locale caserma dei carabinieri, anche lei in lotta perché si faccia luce sulla morte del fratello. «È un momento difficile, ma attendiamo le motivazioni per capire — ha spiegato l’avvocato Fabio Anselmo, difensore di parte civile e legale anche nei casi Cucchi, Aldrovandi e Uva — La nostra tesi era in linea con quella della Procura. Resta comunque il profondo rispetto per i giudici». Soddisfatti i difensori dei quattro agenti. «I nostri assistiti non sono sorpresi perché sanno di aver agito correttamente », ha commentato l’avvocato Paolo Siniscalchi, che nella sua arringa aveva detto che quella sera «Ferrulli era una minaccia ed ebbe una reazione rabbiosa nei confronti degli agenti».



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