Lavoro e pensioni, i settori più «riformati» che mai

Lavoro e pensioni, i settori più «riformati» che mai

Loading

Ormai si sente ripe­tere ad ogni tele­gior­nale: «le riforme strut­tu­rali, e soprat­tutto la riforma del mer­cato del lavoro». Dall’insistenza sem­bre­rebbe che di riforme in que­sto campo non ne siano mai state fatte, men­tre tutti dovreb­bero ricor­dare che nell’ultima quin­di­cina d’anni o poco più ne abbiamo avute almeno quat­tro rile­vanti, più un numero cospi­cuo di inter­venti spe­ci­fici, più i vari accordi governo-sindacati o Confindustria-sindacati.

Il mer­cato del lavoro è il set­tore più «rifor­mato» che ci sia, ugua­gliato forse solo dalla pre­vi­denza. Eppure siamo qui a par­larne tutti i giorni, come se si trat­tasse di qual­cosa rima­sta immu­tata da un secolo.

In effetti con­ti­nuare a par­larne sarebbe giu­sti­fi­cato, per­ché i risul­tati di tutto que­sto lavo­rìo non sono delu­denti, sono pes­simi. Abbiamo un tasso di disoc­cu­pa­zione tra i più alti d’Europa, il tasso di atti­vità è rima­sto inchio­dato una decina di punti sotto la media euro­pea, la par­te­ci­pa­zione fem­mi­nile è a livelli cata­stro­fici, dei gio­vani meglio non par­larne (nono­stante il ritor­nello che ha accom­pa­gnato ogni «riforma»: «Dob­biamo farlo per i nostri figli»).

Di più: un altro dei ritor­nelli che hanno accom­pa­gnato le «riforme» è stato che si doveva supe­rare un assetto «dua­li­stico», nel senso di garantiti-non garan­titi. Oggi non abbiamo più un mer­cato del lavoro dua­li­stico, per­ché, men­tre la pla­tea dei «garan­titi» si va sem­pre più restrin­gendo (segno tra l’altro che tanto garan­titi poi non sono), fuori di essa ci sono innu­me­re­voli figure di lavo­ra­tori che hanno in comune due sole cose: l’instabilità dell’impiego e le basse – spesso mise­ra­bili – retribuzioni.

Viene così in evi­denza il signi­fi­cato dell’espressione «supe­ra­mento del dua­li­smo», che va intesa come «supe­ra­mento delle garan­zie per il lavoro». Uni­fi­care, sì, ma tutti al peg­gio. Non si sente più nem­meno par­lare di «fle­xi­cu­rity», cioè della garan­zia di soste­gno al red­dito in cam­bio della faci­lità di licen­ziare. Costa troppo, intanto fac­ciamo la flexy, per la secu­rity si vedrà. Prima o poi. Cer­ta­mente poi. Forse.
Per­sino un prov­ve­di­mento auspi­ca­bile come il sala­rio minimo garan­tito rischia di essere inter­pre­tato in modo da appro­fon­dire la destrut­tu­ra­zione del mer­cato del lavoro.

La chiave di volta di que­sta stra­te­gia è quella enun­ciata dal vice mini­stro dell’Economia Enrico Morando, noto da tempo per incar­nare l’anima più libe­ri­sta del Pd, in un’intervista a Repub­blica: «Il sistema che inten­diamo rin­no­vare si basa sull’idea che per uscire dal con­tratto nazio­nale le aziende deb­bano sot­to­scri­vere con i sin­da­cati un loro con­tratto azien­dale, come sta acca­dendo, ad esem­pio, alla Fiat».

E dun­que: si vara il sala­rio minimo per legge, di un importo sicu­ra­mente infe­riore ai minimi dei con­tratti nazio­nali; le aziende seguono l’esempio della Fiat ed escono dalla Con­fin­du­stria, non essendo così vin­co­late ai con­tratti nazio­nali, e si appiat­ti­scono sul sala­rio minimo legale. Poi magari elar­gi­scono anche qual­che aumento, a chi vogliono e come vogliono. Due pic­cioni con una fava: si distrugge il con­tratto nazio­nale e diventa facile ridurre i salari. Eh, ma i sin­da­cati devono sot­to­scri­vere un accordo, dirà qual­che «rifor­mi­sta»: pos­sono rifiu­tarsi. Certo, potreb­bero: anche a Pomi­gliano avreb­bero potuto, e si è visto com’è andata.

Insomma, quello che è in atto è l’ultimo assalto, quello che dovrebbe essere defi­ni­tivo: via, in uno modo o nell’altro, gli ultimi rima­su­gli dell’art. 18, il con­tratto nazio­nale ridotto a un simu­la­cro, da cui la rapida caduta verso l’irrilevanza dei sindacati.

E dun­que via libera per la stra­te­gia della sva­lu­ta­zione interna, cioè la ridu­zione delle retri­bu­zioni. Se il governo bat­terà que­sta strada, come sem­bra inten­zio­nato a fare, si col­lo­cherà nell’area del neo­li­be­ri­smo estremo men­tre anche là comin­ciano a ser­peg­giare dubbi su que­sta ricetta, come si è visto con la presa di posi­zione dell’economista Luigi Zin­ga­les, che ha affer­mato che è sba­gliato tagliare i salari.

Chissà poi se le aziende segui­reb­bero effet­ti­va­mente que­sta strada. Le aziende vogliono mano libera e niente vin­coli, que­sto sì, ma a ridurre i salari ci pen­sano bene, e poche effet­ti­va­mente lo fanno. Que­sto fatto risulta da una ricerca della Banca Mon­diale, pub­bli­cata nel luglio scorso (ma svolta nel 2007–2008). Una ricerca molto vasta, su 15.000 imprese di 14 paesi euro­pei, tra cui alcuni extra-Ue, dal titolo Why firms avoid cut­ting wages: sur­vey evi­dence from Euro­pean firms.

È stato chie­sto ai mana­ger se aves­sero ridotto i salari di base negli ultimi cin­que anni. Ebbene, solo poco più del 2% lo ha fatto. Tra le ragioni addotte, «le due prin­ci­pali sono la con­vin­zione che ciò pro­vo­che­rebbe un peg­gio­ra­mento del morale e dell’impegno dei lavo­ra­tori e il peri­colo che i più pro­dut­tivi se ne andreb­bero», gene­rando inol­tre costi per for­mare gli assunti al loro posto.
Parec­chi citano come impor­tante anche il ruolo dei sin­da­cati, che nei paesi dell’Unione a 15 pesa il dop­pio che negli altri: ma di fatto, come dicono i numeri, anche dove il sin­da­cato è più o meno ine­si­stente o comun­que ha pochis­sima impor­tanza ben poche imprese hanno ridotto le retribuzioni.

Que­sto accade, afferma la ricerca, «anche in pre­senza di shock eco­no­mici con­si­de­re­vol­mente nega­tivi». Certo, que­sta crisi non è «con­si­de­re­vol­mente nega­tiva»: è deva­stante, gra­zie alle poli­ti­che che sono state impo­ste. E dun­que non c’è da ras­si­cu­rarsi troppo.

Ma resta il fatto che quasi tutte le imprese per­ce­pi­scono – cor­ret­ta­mente – i tagli ai salari come un qual­cosa che non solo può alla fine non far rispar­miare, ma rischia di dete­rio­rare l’efficienza dell’azienda.

I tec­no­crati, una parte dei poli­tici e gli eco­no­mi­sti neo­li­be­ri­sti fini­scono dun­que per sor­pas­sare a destra gli impren­di­tori, che sono obbli­gati a man­te­nere un anco­rag­gio con la realtà anche se con­tra­sta con l’ideologia: un limite che que­gli altri evi­den­te­mente non sentono.



Related Articles

Malattie professionali, 1.583 morti nel 2012, 300 per l’amianto

Loading

Rapporto annuale Inail. I calo i decessi (27 per cento dal 2008) e le denunce rispetto all’anno precedente. A contrarre maggiormente le patologie sono gli uomini. La quasi totalità dei casi (94 per cento) nell’industria e nei servizi

Ghizzoni: “Avanti con Unipol contro i Ligresti”

Loading

Sul tavolo del cda Fonsai l’azione di responsabilità  per evitare il commissario Isvap 

Recupero evasione, record di 14 miliardi

Loading

Bilancio positivo dell’Agenzia delle Entrate, che rischia il tilt per lo stop della Consulta alla nomina dei dirigenti Il direttore Orlandi chiede una rapida conclusione del contenzioso. Temporaneamente scatteranno “incarichi speciali”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment