Ma il rischio per l’Occidente sono i jihadisti di Khorasan

Ma il rischio per l’Occidente sono i jihadisti di Khorasan

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WASHINGTON — Muhsin al Fadhli è uno degli ultimi «soldati speciali» di Osama. Uno della vecchia guardia di Al Qaeda, fidato e grande organizzatore, tra i pochissimi ad essere informato in anticipo dell’attacco all’America. Un uomo che il movimento ha mandato, nell’aprile del 2003, in Siria con due missioni: 1) Mettere fine al dissidio tra i qaedisti di al Nusra e l’Isis. 2) Preparare cellule in grado di colpire target occidentali. La prima è fallita, la seconda è in corso d’opera.
Fonti di intelligence, citate dal New York Times, hanno messo in guardia: al Fadhli ha creato il gruppo Khorasan, un nucleo transnazionale più pericoloso, sul piano operativo, dell’Isis. Ne fanno parte militanti arrivati dal Pakistan, dal Golfo Persico e dai Paesi nordafricani. Fazione che godrebbe dell’appoggio tecnico degli estremisti yemeniti e soprattutto del grande esperto di bombe «invisibili», al Asiri. A lui il compito di fornire ordigni che sfuggono ai controlli.
Al Fadhli non spunta dal nulla. Già, qualche mese fa, avevamo segnalato sulle pagine del Corriere la sua presenza in Siria, come figura di raccordo nelle file estremiste. E avevamo anche sottolineato come fosse arrivato dall’Iran, un Paese che è avversario dei qaedisti ma che nel post-11 settembre ne ha ospitati diversi. Con il doppio intento di tenerli d’occhio e di usarli in qualche baratto sotterraneo. Nella terra degli ayatollah il terrorista si è stabilito dopo aver «lavorato» con intensità. Ha avuto un ruolo nell’attentato contro una petroliera francese, ha ideato un paio di attacchi anti-americani ed ha raccolto molti fondi nel natio Kuwait, dove associazioni e famiglie non si fanno pregare per versare dollari nelle tasche dei terroristi. Insomma, un facilitatore importante e temuto, sul quale gli americani hanno posto una taglia di 7 milioni di dollari.
Con queste credenziali al Fadhli si è trasferito in Siria. Ufficialmente svolgeva la funzione di numero tre, davanti a lui altri due «ufficiali». In realtà il vero faro è sempre stato il kuwaitiano e la sua influenza è poi cresciuta quando i due «colleghi» sono stati eliminati. Uno dall’Isis e l’altro dal regime. Al Fadhli ha così rinsaldato i legami tra al Nusra e la casa madre in risposta alla sfida dell’Isis. Un atto di insubordinazione che prosegue e che si è anche allargato in questi mesi.
Chi segue le mosse sul fronte siriano è molto cauto. Le dinamiche non sono sempre lineari, le parentele ideologiche sono superate da quelle dei clan e la realtà locale — villaggio, città, popolazione — possono incidere sugli schieramenti. Una premessa necessaria per capire meglio il gruppo Khorasan. Un’interpretazione sostiene che si tratti ormai di una formazione separata da al Nusra. Almeno sul piano formale. Questo perché al Nusra, sia pure fedele ad Al Qaeda, non vuole avere in questa fase problemi con l’Occidente. Ha tutto da guadagnare dalla possibile campagna aerea Usa contro l’Isis in Siria e cerca di sbiadire la sua collocazione estrema. Del resto i mujaheddin di al Nusra sono a pochi metri dalle linee israeliane sulle alture del Golan e fino ad oggi hanno evitato di colpire il nemico storico.
I servizi di sicurezza statunitensi ritengono, invece, che gli uomini reclutati da al Fadhli siano decisi ad attaccare un obiettivo statunitense o europeo. E nella designazione del bersaglio la loro preferenza va al trasporto aereo, anche se non escludono obiettivi diversi. Il terrorismo è anche opportunità.
Guido Olimpio



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