Ma la minoranza PD si spacca in tre

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ROMA . «Più che in trincea il vostro affezionatissimo va semplicemente in piazza…». Sul suo blog Pippo Civati fotografa la distanza che divide le tre sinistre dem: irriducibili come Civati, pontieri come Speranza e De Micheli, filo Cgil come Cuperlo e Fassina. Passa attraverso la Cgil e la piazza. Lo “sciopero sociale” di ieri è stata l’ennesima prova del nove tra chi manifesta con la Cgil e chi tratta sul Jobs Act. Stefano Fassina ad esempio, era anche lui in piazza a Milano. Di quella che fu la minoranza del Pd, un anno dopo le primarie che hanno consegnato il partito a Renzi, restano spezzoni, ruscelli, frantumi. Non è un caso che oggi a Milano la corrente “Area riformista” affiderà al ministro Maurizio Martina, al capogruppo dem alla Camera Roberto Speranza e all’ex segretario Pierluigi Bersani l’ultima chiamata: non dividiamoci. E martedì prossimo si farà una prova di unità con emendamenti comuni alla legge di Stabilità di tutte le minoranze dem, dai dalemiani a Bindi, dai bersaniani a Civati. Le differenze però sono andate sedimentandosi e il segretariopremier ha avuto buon gioco a coinvolgere nel partito, e al tempo stesso disperdendo, gli oppositori interni.
I “giovani turchi”, che sono stati i supporter di Gianni Cuperlo alle primarie in cui sfidò Renzi, sono perfettamente renziani. Uno dei loro leader, Matteo Orfini, è diventato il presidente del partito. Ma anche nella sinistra bersaniana tutto è cambiato. Cesare Damiano, ex sindacalista Fiom, ora presidente della commissione Lavoro è stato una delle teste di ponte della trattativa con il governo sul Jobs Act. A un certo punto è finito nel mirino degli “intransigenti” che gli hanno rimproverato di non impuntarsi almeno per evitare di anticipare il Jobs Act rispetto alla legge di Stabilità. Qui l’ha vinta Renzi. Però Damiano rivendica: «Abbiamo fatto un buon accordo e va difeso». E al segretario Fiom, Maurizio Landini dice che di tante frasi inappropriate pronunciate, una è però giusta: «È vero che il sindacato e le sue battaglie non si fanno interpretare da un partito o dalla sua minoranza… ». Come Paola De Micheli, lettiana della prima ora, appena nominata sottosegretario all’Economia. Ha chiarito subito che avrebbe fatto da “pontiere” tra minoranza e governo, però ovvio che il suo è un punto di vista governista. La sinistra riformista e di governo – quella che si riunirà stamani – punta a essere sì marcata a sinistra, sì indipendente da Renzi «ma lealista », come ha spiegato Speranza. Bersani farà un richiamo all’unione, pur mantenendo le sue perplessità su Jobs act e insistendo per una legge elettorale non di nominati: sul punto l’Italicum va cambiato. Ma il «vero problema» della sinistra dem è quello di «essere orfani di leader». È l’analisi di Laura Puppato, supporter di Civati alle primarie, senatrice ora outsider. Civati e i suoi appaiono gli “irriducibili”, quelli veramente tentati dalla scissione e verso un abbraccio con Vendola. «Basta la piazza per rendersi conto che quei lavoratori non si sentono più rappresentati»: è la riflessione di Civati che ieri era a manifestare a Milano. Il rapporto con il sindacato tiene banco nella sinistra dem. La posizione di Cuperlo, Fassina, De Maria è quella di non mollare il Pd però dare rappresentanza piena ai lavoratori che protestano in piazza, che vanno tutelati. «No a derive neocentriste del Pd, no a un partito della Nazione che dimentica di dare soprattutto risposte ai lavoratori ».
La sinistra dem sa che nelle divisioni perde, assottiglia il suo peso, confonde. Solo un nuovo leader potrebbe riunirla.


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