Jorge Troc­coli a giudizio, pericolo di una nuova fuga

Jorge Troc­coli a giudizio, pericolo di una nuova fuga

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La magi­stra­tura ita­liana, che indaga nel pro­cesso con­tro i mili­tari lati­noa­me­ri­cani per il Piano Cón­dor, ha deciso il rin­vio a giu­di­zio di Jorge Troc­coli. L’ex mili­tare uru­gua­iano accu­sato di seque­stro e tor­ture, è l’unico tra i trenta rin­viati a giu­di­zio che risiede attual­mente in Ita­lia. Già nel 2008 il tri­bu­nale del rie­same aveva negato l’estradizione richie­sta dal governo uru­gua­iano. Ora si teme, che ancora una volta, rie­sca a fug­gire alla giustizia.

Troc­coli era stato già arre­stato e poi rimesso in libertà il 23 aprile del 2008. Come altri mili­tari suda­me­ri­cani, gra­zie alla dop­pia cit­ta­di­nanza, ora è diven­tato cit­ta­dino ita­liano. Nel 2008 abi­tava a Marina di Came­rota dà dove è ori­gi­na­ria la sua fami­glia e dove ci sono tanti Troc­coli e com­pli­cità. Ora sem­bra si sia tra­sfe­rito a Bat­ti­pa­glia. Venerdì 19 dicem­bre il giu­dice per le inda­gini pre­li­mi­nari lo ha con­vo­cato per il pros­simo 12 feb­braio 2015 davanti alla Terza Corte di Assise di Roma nell’aula bun­ker di Rebib­bia per processarlo.

Chi è Jorge Troc­coli? A soli 29 anni Troc­coli divenne capo della Fusna, una sezione del ser­vi­zio di Intel­li­gence che gestiva lo scam­bio di infor­ma­zioni tra i paesi suda­me­ri­cani legati al Plan Cón­dor: cen­ti­naia di oppo­si­tori sche­dati, brac­cati e tor­tu­rati su e giù per l’America Latina. Troc­coli diventa un espo­nente di spicco e ne rimane a capo per due anni, nella fase più buia della regione.

Il Plan Cón­dor non era altro che una mul­ti­na­zio­nale del cri­mine, orga­niz­zata da mili­tari cileni, argen­tini, uru­gua­iani, para­gua­iani, boli­viani, peru­viani e bra­si­liani che ave­vano sta­bi­lito la coo­pe­ra­zione nella lotta agli oppo­si­tori senza pro­blemi di giu­ri­sdi­zione, igno­rando per­fino le frontiere.

Nel 1998, ormai finita la dit­ta­tura, Troc­coli decide di pub­bli­care un libro L’ira del Levia­tano, in cui cerca di giu­sti­fi­care i cri­mini com­messi e difende la tesi, che era il suo dovere di uffi­ciale ese­guire gli ordini di qual­siasi tipo, forse senza ren­dersi conto che fu la stessa tesi usata Otto Adolf Eich­mann per difen­dersi nel pro­cesso ripreso poi da Han­nah Arendt nella Bana­lità del male. Per il cri­mi­nale nazi­sta chi obbe­di­sce non è responsabile.

Il mili­tare è accu­sato della scom­parsa di trenta cit­ta­dini uru­gua­yani che erano fug­giti in Argen­tina nel 1978 e lì diven­tati desa­pa­re­ci­dos. Troc­coli è stato tra i primi a rico­no­scere l’uso della tor­tura negli inter­ro­ga­tori, ha ammesso di averla pra­ti­cata sui pri­gio­nieri, ma ci tiene a pre­ci­sare di non aver mai ucciso un detenuto.

Nel 2009 l’Italia non con­cesse l’estradizione di Troc­coli all’Uruguay, argo­men­tando allora vizi pro­ce­du­rali. Così come in altri casi, recen­te­mente denun­ciati dal Grupo de argen­ti­nos en Ita­lia por la memo­ria, ver­dad y justi­cia (il mani­fe­sto, 11 dicem­bre 2014), l’Italia negò la richie­sta di estra­di­zione inol­trata dalla magi­stra­tura argen­tina di Jorge Oli­vera, Franco Rever­beri Boschi e Car­los Luis Malatto rin­viati a giu­di­zio in argen­tina per cri­mini di lesa umanità.

In quella denun­cia il gruppo di argen­tini met­teva in risalto che molti ex mili­tari pro­fu­ghi della magi­stra­tura, in par­ti­co­lare argen­tini, potreb­bero risie­dere oggi libe­ra­mente in Ita­lia gra­zie ai bene­fici della dop­pia cit­ta­di­nanza. La denun­cia finiva dicendo: «Abbiamo applau­dito quando l’Italia ha giu­di­cato e con­dan­nato, sem­pre in con­tu­ma­cia, vari mili­tari argen­tini col­pe­voli di cri­mini orrendi durante la dit­ta­tura. Non vor­remmo che que­ste sto­ri­che sen­tenze siano costrette a con­vi­vere con nuove com­pli­cità, tra­sfor­mando l’Italia in una zona franca per mili­tari argen­tini o ita­loar­gen­tini profughi».

Il rin­vio a giu­di­zio di Jorge Troc­coli è un’ottima noti­zia, non vor­remmo però che nell’udienza del pros­simo 12 feb­braio la magi­stra­tura riscon­tri la sua avve­nuta fuga.



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