Draghi: “Allarme prestiti deteriorati, bisogna smaltirli più rapidamente”

Draghi: “Allarme prestiti deteriorati, bisogna smaltirli più rapidamente”

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 L’alto livello di sofferenze bancarie rimane il problema numero uno per gli istituti creditizi e quindi per l’economia, in Italia come in Europa. La conferma arriva dal presidentedella Bce Mario Draghi, che in un appassionato intervento alle celebrazioni per il quarantennale di Prometeia ha difeso a spada tratta l’operato dell’Eurotower e il suo contributo alla ripresa, «che finalmente si regge su basi più salde». Un contributo che non finirà: «Se dovremo intensificare l’utilizzo dei nostri strumenti per raggiungere l’obiettivo di stabilità dei prezzi( Qe, tassi negativi, ndr), lo faremo ».
La ripresa, assicura il presidente Bce, «è sospinta dalla domanda interna più che dalle esportazioni e ha mostrato di saper resistere al recente rallentamento del commercio mondiale ». Senonché in questo scenario favorevole c’è il punto nero delle sofferenze: «L’elevato stock di prestiti deteriorati ostacola una piena ripresa del credito ». I prestiti deteriorati «assorbono risorse e capacità operativa, immobilizzano il capitale bancario in impieghi improduttivi, riducono la redditività della banche».
Ad essere colpite sono le imprese minori, più dipendenti dal credito bancario. «La lentezza nel riassorbimento dei prestiti in sofferenza impedisce il necessario processo di ristrutturazione delle imprese, in cui le aziendesane riducono il loro debito e riprendono a investire mentre le altre escono dal mercato».
La carenza di investimenti, funzione del tasso di fiducia, è il tassello mancante nella ripresa, così come l’esitazione «di alcuni Paesi a avviare le riforme».
Tutto è collegato: creare le condizioni per un rapido smaltimento dei prestiti deteriorati «deve essere parte delle misure di politica economica volte a ripristinare condizioni favorevoli all’occupazione». Ogni Paese ha la sua «lista di azioni» da compiere, perché «i ritardi su questo fronte sono un serio freno alla crescita». Draghi giunge a parlare dell’Italia quando chiarisce che «una ben disegnata disciplina normativa sulle insolvenze è essenziale per distinguere i debiti solvibili dagli altri e per agevo- lare la valutazione delle attività da liquidare». Il nostro Paese bene ha fatto ad approvare una riforma fallimentare che «dimezzerà la durata media delle procedure fallimentari, mentre i tempi delle procedure di pignoramento diminuiranno in misura non trascurabile».
Il recupero tempestivo delle garanzie «avvicina il valore di mercato degli attivi deteriorati al livello al quale le transazioni possono aver luogo»: un riferimento indiretto alle polemiche in corso fra governo italiano e Commissione Ue sul valore da dare ai crediti in sofferenza, che cambia a seconda del periodo di accertamento e recupero, anche in vista di un’ipotetica bad bank. Di sicuro, «la velocità di riduzione dell’indebitamento è maggiore nei Paesi che dispongono di un apparato giudiziario efficace».
Altrettanto “non esplicita” è la conclusione del lungo affettuoso ricordo di Nino Andreatta al quale si è abbandonato Draghi, esponente anch’egli della scuola bolognese a inizio carriera. «Con Andreatta (artefice del divorzio Tesoro-Bankitalia,
ndr) finì il devastante malcostume degli anni ’70 di far finanziare a Via Nazionale il deficit pubblico, una pratica che forse qualcuno vorrebbe riesumare oggi».
Fra i tanti banchieri e gli economisti presenti, da Prodi a Tantazzi, da Onofri a Boeri, si cercava un’interpretazione: la più accreditata è che si è trattato della pietra tombale su qualsiasi ipotesi di finanziamenti pubblici ad hoc per i salvataggi bancari.


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