Imprese, famiglie e governo chi paga il conto della crisi

Imprese, famiglie e governo chi paga il conto della crisi

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I mercati tracollano da cinque settimane. In Italia peggio che altrove in Europa. Cosa succede? E quali impatti possiamo immaginare per imprese, famiglie, banche e conti pubblici? Esperti ed economisti non credono in una possibile nuova recessione che dagli Stati Uniti travolga ancora il Vecchio Continente. Eppure i motori del mondo – Usa e Cina – rallentano in modo vistoso. E l’enorme liquidità in circolo, favorita dai diversi programmi di acquisto di titoli (i famosi Quantitative easing), non sta ferma e amplifica i problemi. Non c’è dubbio che se la tempesta proseguisse l’impatto depressivo su consumi e investimenti darebbe il colpo di grazia all’ancora timida ripresa in atto.

IMPRESE SFAVORITE

«Assistiamo ad uno scollamento raro da osservare in economia, una sorta di forbice: la situazione attuale va bene per i consumatori, male per le imprese », spiega Fedele De Novellis, docente di Economia politica alla Cattolica. Va bene per le famiglie, almeno nel breve periodo, perché «hanno poca ricchezza azionaria, a differenza di quelle americane». Non cambieranno dunque le decisioni di consumo, visto che i «prezzi delle materie prime continuano a essere bassi, in primis il petrolio, e così i tassi di interesse, favorendo i mutui». Non così le imprese. Per loro e per i conti pubblici «qualche decimo di crescita in meno è da mettere in conto, ma non è un quadro drammatico». Le aziende «rivedono al ribasso le decisioni di investimento e il governo dovrà limare le previsioni di rialzo del Pil, che noi dell’istituto Ref già calcoliamo dell’1% anziché 1,6. Ma l’Europa, visto il contesto, potrebbe ammorbidirsi».

FAMIGLIE A RISCHIO PANICO

Non la pensa così Stefano Manzocchi, direttore del dipartimento di Economia e finanza della Luiss. Se le imprese rischiano un nuovo credit crunch, una restrizione del credito e dunque «maggiori difficoltà nell’ottenere finanziamenti», le famiglie potrebbero fare i conti con «l’effetto paura, il sentirsi meno ricchi». E dunque «ricominciano ad aspettare, risparmiare, rinviare l’acquisto dell’auto», il vero traino del 2015. Certo poi un rialzo dell’1,6% del Pil per quest’anno, come ipotizzato dal governo, è «forse ottimistico». Ma «anche se fosse l’1,4, l’impatto non sarebbe mostruoso». Il vero tema è il 2017. «Se la ripresa non si consolida e non siamo in grado di aprire un dialogo costruttivo con l’Europa, ci ritroveremo impiccati alle clausole di salvaguardia, dunque all’aumento dell’Iva: un suicidio».

LE BANCHE TRABALLANO

Guardare alle Borse in picchiata di queste settimane può essere fuorviante. Ma certo, ragiona ancora Manzocchi, «se l’inquietudine dei mercati si prolunga nel tempo, allora sì, può rallentare tutto: l’ennesimo caso di profezia che si autoavvera ». Con le imprese costrette a rivedere i piani di investimento, le banche a ristrutturare pesantemente e a ridimensionarsi, le famiglie spaventate. Oggi pessimismo, domani stagnazione o peggio. D’altro canto, analizza Andrea Goldstein, managing director di Nomisma, vi sono anche motivazioni tecniche dietro i tracolli dei mercati. «Le vendite automatiche, un nervosismo accentuato che sovradimensiona le crisi mondiali (dal lancio del missile in Corea alle tensioni tra Turchia e Russia), le vendite anche in perdita dei fondi sovrani istituzionali, soprattutto arabi, in cerca di liquidità per rientrare da esposizioni e pagare gli stipendi, con le quotazioni del petrolio ai minimi». La tempesta azionaria, certo, arriva nel momento peggiore per l’Italia. «Ripresa ancora tenue, non brillante. Le famiglie hanno ricostruito il materasso, ma i consumi non riprendono. Le imprese, viste le tensioni sui mercati, a questo punto saranno più caute. D’altro canto, la crisi impatta più a livello di percezione. Cresce l’incertezza. E le banche poi soffrono tutte, anche quelle francesi, anche le migliori ».

RITORNO ALLA LEHMAN

«Vedo uno scenario privo di controllo, al pari di un’automobile senza volante a cento all’ora », si incupisce Giacomo Vaciago, docente di Economia monetaria alla Cattolica di Milano. «Sembra di essere tornati al 15 settembre 2008, al crollo della Lehman Brothers», dunque all’origine della grande crisi. «Anzi qui è peggio di allora. Dall’11 di agosto i capitali non stanno più fermi, abbandonano la Cina. Il Qe non funziona più, così come gli annunci di Draghi, il cui effetto calmante ora dura 48 ore al massimo. La gente ha paura, tira i remi in barca. Il piano Juncker doveva rilanciare gli investimenti, invece va avanti col contagocce. Le imprese ritirano i loro piani e rinunciano ad assumere. Tra un po’ in Europa ci sarà un milione di disoccupati in più. E i governi, anziché cercare rimedi, stanno a guardare».

CONTI IN BILICO

«I conti pubblici italiani non sono la priorità, lasciamo stare lo zero virgola», insiste Vaciago. «Ora abbiamo bisogno solo di qualcuno che salga sulla locomotiva e faccia ripartire il treno. Sospendiamo per un anno la discussione sul debito pubblico, concentriamoci sulla crescita e sulle banche. Sono piene di sofferenze, il governo annuncia un piano. Ma dov’è?».



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