Un’«Ape» non fa primavera

Un’«Ape» non fa primavera

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Nella prossima legge di Stabilità il governo intende inserire diversi provvedimenti in materia pensionistica. Quello di cui si sta parlando maggiormente è l’anticipo pensionistico (Ape) che dovrebbe attenuare in qualche misura il forte aumento dell’età di pensionamento (fino a sette anni) deciso nel 2011 dal ministro Fornero. Con quel provvedimento, il governo Monti ribadì la linea politica ed economica in atto da oltre un decennio di attingere al bilancio dell’insieme dei lavoratori-pensionati per sostenere il complessivo bilancio pubblico. Eppure, già dal 1998, il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni nette è in attivo (nel 2013 di circa venti miliardi).

Ma oltre a questa discutibile politica redistributiva, lo slittamento improvviso fino a sette anni dell’età di pensionamento ha generato molti altri problemi tra i quali la creazione dei cosiddetti esodati, cioè oltre trecentomila persone venute a trovarsi senza lavoro e senza pensione. Un importante effetto socio-economico è stato che il trattenimento forzoso in attività di persone in vista del pensionamento ha di fatto ostacolato l’ingresso nel mondo del lavoro di altrettanti giovani, con conseguenze negative non solo per le opposte aspettative di vita delle due categorie di popolazione; l’invecchiamento della forza lavoro ne ha ridotto sia la produttività che la capacità di adattarsi ad innovazioni produttive e, allo stesso tempo, ha aumentato il costo del lavoro. D’altra parte, il passaggio al sistema contributivo in un contesto di precarizzazione del mondo del lavoro, di compressione dei salari e di riduzione della crescita del Pil sta creando una vera e propria bomba sociale, cioè la creazione, nel giro di due-tre decenni, di un’ingente massa di pensionati poveri (quelle stesse persone che oggi sono precarie e/o sottopagate come lavoratori).

Di fronte a così tanti e strutturali problemi economico-sociali, l’Ape rappresenta un elemento di flessibilità dell’età di pensionamento che, però, potrà essere utile solo a chi, potendo contare su una pensione più che sufficiente, può anche permettersi di ridurla in cambio di una sua anticipazione. Poiché il governo non vuole toccare più di tanto il bilancio pensionistico (attivo) ha pensato di organizzare un prestito, a richiesta di chi vuole anticipare la pensione, dato dalle banche e assicurato da istituti finanziari privati. Naturalmente gli interessi e i costi assicurativi del prestito sono a carico di chi li chiede, salvo agevolazioni pubbliche per ristrette categorie di lavoratori più svantaggiati (disoccupati, lavoratori precoci o impiegati in attività usuranti). Ma anche tali agevolazioni dovranno essere limitate poiché per l’insieme dei provvedimenti (oltre all’Ape, c’è l’ampliamento dei beneficiari della 14ma, la ricongiunzione gratuita dei periodi contributivi) le risorse sono limitate (2 miliardi).

In definitiva, l’Ape non modifica l’età di pensionamento decisa con la legge Fornero, ma introduce (per un periodo di sperimentazione) un elemento di flessibilità che, di fatto, potrà essere fruito solo da chi avrà una pensione medio-alta, ma molto difficilmente da chi ne avrà una medio-bassa: anticipare di tre anni una pensione attesa di 1000 euro implicherà la sua riduzione a circa 850 euro per il resto della vita da pensionato. I problemi strutturali del sistema pensionistico rimangono intatti e continuano inesorabilmente a crescere. I provvedimenti di cui si sta parlando costituiscono delle misure che aiuteranno solo un ristretto numero di persone, ma in prossimità del referendum.

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