G7. Una brutta giornata per il clima e per la pace

G7. Una brutta giornata per il clima e per la pace

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La mancata firma statunitense al G7 energia sul l’impegno a realizzare l’Accordo di Parigi sul clima, che invece rimane forte e deciso per gli altri membri e per la Ue, conferma la linea negazionista dell’amministrazione Trump.

Del resto, la linea sull’energia sancita dal documento «America First» è chiara: share oil e shale gas americano prima di tutto, recuperare i posti di lavoro persi dal settore del carbone, rilanciare il nucleare.

Questa linea, però, incontra non poche difficoltà, per varie ragioni. Sul nucleare, il fallimento della Westinghouse/Toshiba mette a serio rischio il futuro del reattore AP1000, che da anni rappresenta la punta di diamante del rilancio nucleare negli Usa e che aveva avuto un sostegno di fondi a tasso agevolato da parte dell’amministrazione Obama. L’azienda è fallita senza nemmeno averne costruito è messo in funzione uno solo.

L’idea di rilanciare l’occupazione nel settore delle fonti fossili appare un miraggio: oggi le fonti rinnovabili occupano più di carbone, gas e petrolio è una politica anti rinnovabile presenta il serio rischio di danneggiare l’occupazione in questo settore senza avere nessun rilancio effettivo nei comparti tradizionali. Né l’amministrazione può modificare per decreto i fondamentali economici delle fonti rinnovabili che sono andati via via migliorando tanto da portare persino l’eolico offshore verso la competitività (e facendo emergere un interesse industriale di aziende petrolifere verso le pale eoliche).

Se nel campo della lotta ai cambiamenti climatici abbiamo un G6 invece che un G7 (in attesa di capire cosa avverrà al G20 in Germania tra qualche settimana) non è certo una bella notizia. Non lo è per la difesa del clima globale e non lo è nemmeno per la pace. Per certi versi infatti l’Accordo di Parigi – con tutti i suoi limiti – prospetta una direzione allo sviluppo energetico con un progressivo abbandono delle fonti fossili e promuove la cooperazione internazionale. E dà una prospettiva all’economia a livello globale: ricostruire progressivamente il sistema energetico su base rinnovabile significa ridurre i rischi di conflitti per le risorse energetiche fossili e allo stesso tempo aprire una nuova stagione di investimenti, oggi economicamente sostenibili e positivi sul versante occupazionale. Interrompere questo percorso e chiudersi nel proprio «sovranismo energetico» fa male al clima globale (trattandosi di fonti fossili) e non aiuta a promuovere la cooperazione economica elemento fondamentale, necessario anche se non sufficiente, per mantenere la pace. Cooperare con il comune obiettivo di salvaguardare la «casa comune» significa anche creare un quadro più favorevole a una pace più duratura.

Quella di ieri dunque non è stata una bella giornata.

Tocca adesso agli altri paesi industrializzati e all’Unione Europea riprendere l’iniziativa, in vista del prossimo G20, e continuare a collaborare sul tema della salvaguardia del clima con le potenze emergenti, a partire dalla Cina. Questa, per fortuna, sta dando segnali incoraggianti di voler proseguire nell’impegno a sviluppare le fonti pulite di energia.

* direttore Greenpeace Italia

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