Messico: ucciso il decimo giornalista da gennaio

Messico: ucciso il decimo giornalista da gennaio

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Con sette politici su dieci collusi, la lotta alla droga è il modo per zittire le voci critiche

Un altro giornalista è stato ammazzato in Messico. Martedì 22 agosto è toccato a Cándido Ríos Vázquez, ucciso insieme alla sua scorta. In pieno pomeriggio un commando ha freddato, a colpi di pistola, tre persone a Juan Díaz Covarrubias, nel municipio di Hueyapan de Ocampo nello Stato del Veracruz.

L’omicidio è avvenuto davanti ad un supermercato. Rios era corrispondente del Diario de Acayucan, oltre che fondatore de La Voz de Hueyapan. Dall’inizio dell’anno è il decimo giornalista ucciso. L’ottantaquattresimo dal 2004.

Una sottile linea rossa ROSSA lega questi morti, accomunati dall’impegno nel racconto delle compromissioni tra poteri economici, legali e illegali, con lo Stato. È il secondo giornalista assassinato nello Stato di Veracruz, governato dal 2016 da Miguel Ángel Yunes Linares.

Questo omicidio ha un sapore particolarmente aspro, perché Rios, dopo aver ricevuto diverse minacce di morte, viveva all’interno del sistema di «Protezione dei Difensori di Diritti Umani e Giornalisti», curato direttamente dalla Secreteria de Gobierno, ovvero il ministero dell’interno messicano.

Hilda Martinez, moglie di Rios, ha dichiarato: «Bisogna sapere che Gaspar Gomez Jemenez (ex sindaco di Hueyapan de Ocampo, ndr) aveva più volte minacciato di morte mio marito. Voglio anch’io la protezione, affinché non uccidano anche me».

In questo clima il grido di condanna di Jorge Morales Vázquez, titolare della commissione statale per la sorveglianza e protezione dei giornalisti (Ceapp) e la sua richiesta alle autorità preposte di realizzare indagini appropriate, per consegnare alla giustizia i colpevoli, paiono un gesto di dignità e coraggio più che una speranza.

Da tempo si parla del Messico come di un narco-Stato in cui le promiscuità tra istituzioni, malavita e grandi imprese genera un sistema di spartizione dei territori.

Capita che i poteri in campo si scontrino per il dominio di una zona, ma chi giornalmente subisce la guerra d’interessi è chi si oppone: attivisti, giornalisti non allineati, comunità indigene, parti della chiesa e dello Stato.

Nel 2006 il presidente Calderon diede il via alla «guerra alla droga»; undici anni dopo il Messico è il secondo paese al mondo, dopo la Siria, per vittime civili. La guerra alla droga è diventata la scusa per eliminare avversari e militanti politici oltre alle voci critiche. Sette politici su dieci sono collusi con il mondo dell’economia illegale.

I cartelli della droga fanno affari con le multinazionali. Polizia e militari sono parte della struttura corruttiva.
Allo stesso tempo il Messico – però – è un paese sicuro per i turisti.

Morti, desaparecidos e violenza non sono visibili nella fetta di paese vissuta da stranieri e viaggiatori. I turisti significano ricchezze da spartire, sostanze da vendere, oltre a costituire la giustificazione per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali e alberghiere.

Però con l’omicidio di Candido Ríos viene alzato il livello dello scontro. Viene dato un segnale molto forte anche alla parte «sana» e non corrotta, sempre più minoritaria, dello Stato. L’omicidio del giornalista e quelli dell’ex ispettore di polizia Víctor Acrelio Alegría e dell’autista designato per la scorta, significano che in quest’anno di campagna elettorale nessuna voce critica è al sicuro, a nessuno livello.

Un avvertimento diretto anche a chi si candiderà come presidente del Messico nel luglio 2018 e che rifiuta e si oppone all’idea di narco-Stato.

Ovvero María de Jesús Patricio Martínez, candidata del Congresso Nazionale Indigeno e sostenuta dall’Ezln, e al netto delle contraddizioni Andres Manuel Lopez Obrador, candidato di Morena.

FONTE: Andrea Cegna, IL MANIFESTO



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