Democrazia europea, il problema è genetico

Democrazia europea, il problema è genetico

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L’Unione euro­pea rischia di essere tra­volta dalla crisi eco­no­mica che l’establishment di Bru­xel­les non è stata in grado di argi­nare. Gli esiti sor­titi dalle ricette anti­crisi dell’Ue li cono­sciamo: più disoc­cu­pa­zione; povertà accre­sciuta; allarme per l’aumento delle ten­sioni sociali. Eppure, l’Unione non pare avere alcuna inten­zione di mutare rotta. La sua ideo­lo­gia era e con­ti­nua a essere il libe­ri­smo con le sue ricette infal­li­bili. In que­sto qua­dro, anche la crisi elle­nica è stata sur­ret­ti­zia­mente assunta dai governi euro­pei come l’ultimo pre­te­sto per rego­lare i conti con ciò che rima­neva dello stato democratico-sociale nei sin­goli paesi dell’Unione. Di qui il ten­ta­tivo di fare della Gre­cia il ter­reno di prova per la costru­zione di un nuovo ordine sociale da esten­dere a tutta l’Europa, lo spa­zio di spe­ri­men­ta­zione d’inediti pro­cessi di sov­ver­si­vi­smo dall’alto, il luogo del defi­ni­tivo redde ratio­nem nei con­fronti del costi­tu­zio­na­li­smo democratico-sociale.
La strada è stata trac­ciata dalla troika e ai popoli euro­pei non è con­sen­tito deviare. I riscon­tri non man­cano. Nel novem­bre 2011 il Pre­si­dente Papan­dreu si reca al ver­tice di Can­nes del G20 per sot­to­porre la sua ipo­tesi di refe­ren­dum (sulle misure anti­crisi da adot­tare in Gre­cia) e ne esce dimis­sio­na­rio. Qual­che giorno prima, a Bru­ges, il Pre­si­dente della Repub­blica Napo­li­tano richiama tutti i par­titi ita­liani al rispetto scru­po­loso delle misure anti­crisi decise dall’Ue, san­cendo un vero e pro­prio impe­ra­tivo cate­go­rico: «Nes­suna forza poli­tica ita­liana può con­ti­nuare a gover­nare, o può can­di­darsi a gover­nare, senza mostrarsi con­sa­pe­vole delle deci­sioni, anche impo­po­lari, da pren­dere ora nell’interesse nazio­nale e nell’interesse euro­peo». Cono­sciamo le con­se­guenze dell’esternazione: governo delle lar­ghe intese, rie­le­zione del Pre­si­dente Napo­li­tano, ese­cu­tivo senza indi­rizzo poli­tico e costretto ad ope­rare sotto l’incalzante vigi­lanza dell’Ue. Vere e pro­prie solu­zioni pla­cebo che, nel ten­ta­tivo di tam­po­nare le con­se­guenze interne della crisi dell’Unione, hanno in realtà con­tri­buito solo ad aggra­varla.
Per l’Europa è giunto, per­tanto, il momento di deci­dere se con­ti­nuare ad essere lo stan­tio luogo di intese tecnico-normative (fra éli­tes, poteri eco­no­mici, lob­bies finan­zia­rie, governi, corti) oppure se vol­tare pagina, pro­vando a rilan­ciare su basi demo­cra­ti­che il pro­cesso di inte­gra­zione. Per fon­dare demo­cra­ti­ca­mente l’ordinamento euro­peo non basta però ricor­rere ad allet­tanti ope­ra­zioni di maquil­lage isti­tu­zio­nale, limi­tan­dosi a con­fe­rire più con­trolli alle assem­blee nazio­nali o più com­pe­tenze al Par­la­mento euro­peo. Non solo di que­sto si tratta, non solo di que­sto ha biso­gno l’Europa.
Ripen­sare demo­cra­ti­ca­mente l’ordinamento euro­peo signi­fica avere la con­sa­pe­vo­lezza che l’assenza di demo­cra­zia rap­pre­senta un vul­nus gene­tico del sistema e che «l’Unione euro­pea – come ci ha più volte ram­men­tato Hob­sbawm — non fu fon­data come un’organizzazione demo­cra­tica». Né ha mai avuto, negli anni a venire, pre­tese di dive­nirlo.
D’altronde, se siamo ancora dispo­sti ad ammet­tere che la parola demo­cra­zia alluda a una orga­niz­za­zione del potere poli­tico che ha la sua ori­gine «nel popolo e con­se­guen­te­mente da que­sto deriva» (Sect. 1 del Vir­gi­nia Bill of Rights del 1776), dovremmo con­clu­dere che l’Unione euro­pea non è una demo­cra­zia. E non vale trin­ce­rarsi die­tro le colo­rite for­mule dei Trat­tati sulla «demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva» nella quale «i cit­ta­dini sono diret­ta­mente rap­pre­sen­tati, a livello dell’Unione, nel Par­la­mento euro­peo». Si tratta di for­mule laco­ni­che e inaf­fer­ra­bili sul piano nor­ma­tivo che elu­dono il tema della deci­sione poli­tica e della sua legit­ti­ma­zione. A con­fer­marlo è la per­si­stente con­di­zione di debo­lezza del Par­la­mento. Un organo che è eletto diret­ta­mente dai cit­ta­dini, ma che non dispone di poteri di indi­rizzo poli­tico; eser­cita «la fun­zione legi­sla­tiva», ma è sprov­vi­sto del potere di ini­zia­tiva legi­sla­tiva; approva il bilan­cio, ma non quando si tratta di adot­tare le «dispo­si­zioni rela­tive al sistema» (finan­zia­rio).
Nella mente rie­cheg­giano le cele­bri lezioni tenute alla Lon­don School da Ralf Dah­ren­dorf che, con il suo humour inglese (di seconda gene­ra­zione), era solito ram­men­tarci che «se l’Ue facesse la domanda di essere accolta nell’Ue que­sta domanda dovrebbe essere respinta per insuf­fi­cienza di democrazia»



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