L’Italia degli anni ’50 quando i gay erano invisibili

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 Anticipiamo la prefazione di Natalia Aspesi al libro di Andrea Pini Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta pubblicato da Il Saggiatore che raccoglie storie e testimonianze In quegli anni, negli anni cinquanta, più o meno tutte le ragazze sul mercato matrimoniale hanno avuto un fidanzato così, almeno uno, se non di più, quando particolarmente sfortunate. Anche le più scaltre non si facevano domande: avevano sentito sussurrare che esistevano dei poveretti che si toccavano tra di loro, ma chissà  se era vero, e comunque chissà  dove si nascondevano, certo non se ne vedevano nel loro ambiente di maestri e professori e persino avvocati, più qualcuno che aveva scelto professioni strane e molto brillanti, tipo vetrinista o aiutoregista, o ne stava inventando altre, lo stilista, il pr, il press agent. Uomini giovani, rassicuranti, molto ambiti, non ancora fidanzati, possibili, indispensabili mariti. Gli altri, quei giovanotti di cui si sussurravano misteriose propensioni, non avevano nome, al massimo li si indicava con una strizzata d’occhi o uno sguardo al cielo, non esistevano nei romanzi alla moda, non se ne leggeva sui giornali, oppure sì, ma in terrorizzanti cronache di vergognosi balletti, o verdi o rosa, con giusti arresti e perquisizioni, e scandalizzati, indignati commenti delle più belle firme del momento. In famiglia non se ne parlava, erano mondi troppo lontani, né veniva in mente di porsi domande su certi simpatici scapoloni assolutamente perbene, spesso invitati a cena per far loro conoscere qualche ragazza molto matura e disperata, chissà  mai ne nascesse qualcosa di buono. Ma loro avevano sempre da mostrare la foto ormai sdrucita di un’antica signorina, morta tanti anni prima, che era stata il loro grande insostituibile amore. Alla sua cara memoria si erano votati in solitudine, per lei avevano rinunciato a farsi una famiglia. Però si dedicavano a qualche giovane amico, come fosse un figlio, per aiutarlo negli studi e, se mai gli fosse venuto in mente il ghiribizzo di lavorare, in una professione. Ma certe volte questi ragazzi erano irriconoscenti, e se ne andavano nottetempo, insalutati ospiti: in quei casi le ragazze erano bravissime a consolare l’afflitto e anche la di lui madre, spesso vedova o separata, che su quei giovani contava per tenere lontano certe immancabili intruse che avrebbero potuto sottrarle, con arti vergognose e non consone a una madre, il maschio di casa, il figlio devoto rimasto con lei. Quelli erano più che altro amici di famiglia, ma nel nostro gruppo giovane abbondavano scapoli brillanti di cui non era difficile innamorarsi e che in un battibaleno si dichiaravano nostri fidanzati. A pensarci adesso fa impressione: erano tanti, più di adesso, o eravamo noi ad attirarli, perché riposanti, senza pretese, ansiose, più che di passione, di sistemazione e da quel lato là  molto ignoranti? Volevano, stando con noi, mimetizzarsi, speravano davvero di farsi comunque una famiglia, oppure, come qualcuno pensava possibile, addirittura “guarire”? Comunque: la più bella e ricca tra noi rimase incinta dopo un solo veloce scontro, e fu un evento bruttissimo, che misteriosamente non fu riparato dall’ovvio matrimonio. Doveva essere successo qualcosa che non ci venne detto, perché la gravidanza fu clandestinamente interrotta, preferendo quindi quello che allora era un grave reato a continuare quel legame. Che infatti finì lì e non se ne parlò più. C’era il farfallone, non solo toccava il sedere a tutte, cosa che risultava molto sgradita, ma cambiava continuamente ragazza, le lusingava e poi scartava, crudele Don Giovanni, facendole soffrire moltissimo. La bruttina era perduta dietro il più bello che poi, abbandonato ogni tentativo etero, è diventato famoso nel mondo, e finalmente ci fu una notte tutta per loro: finì in un pianto disperato, e lei, priva di fascino, si incolpò di quel fallimento irrimediabile. Il fidanzato più simpatico e di aspetto più virile faceva ridere tutti, soprattutto la sua ragazza, non proprio innamorata, ma, per porre fine all’agonia del nubilaggio, disponibile ad accasarsi con lui, almeno si sarebbero divertiti. Poi successe una cosa strana: lui la portò a una prima dei Legnanesi, allora molto in voga, le donne erano una decina, il resto del teatro occupato da uomini anche truccati, anche con lustrini, e un bel po’ a salutare calorosamente il fidanzato più simpatico. Tra lui e lei non ci fu nessun chiarimento, lei era intelligente e capì: rimasero grandi amici e ognuno ebbe la sua vita come natura esigeva. Il più serio e colto la sua ragazza la sposò, diventando padre amoroso di due figli: ma i tempi cambiavano, e venne il momento in cui tra persone intelligenti divenne possibile parlarsi, e capirsi, e continuare a volersi bene e rispettarsi, però separandosi. Visto dalla nostra parte, dalla parte delle ragazze sceme come noi, che allora non avevano mai sentito pronunciare la parola frocio, questo libro, illuminante, importante, con le sue interviste e confessioni, che oggi leggiamo con simpatia e partecipazione, ci obbliga a rivangare tempi dimenticati, troppo lontani. E sinceramente ci si rabbuia pensando ai nostri tormenti femminili per quei fidanzati così vaghi, e i nostri complessi di inferiorità , e le lacrime notturne, e le domande senza risposta, e l’arrivo prima o poi di un ragazzo carino con gli occhi chiari che, sempre più presente, a poco a poco ci restituiva all’odiato zitellaggio. Loro avranno avuto i loro tormenti e spaventi, ma da questo libro si capisce quanto intanto si divertivano, quanti sprazzi di felicità  avevano. E non con noi signorine, vittime innocenti dei tempi bigotti, e sinceramente questo, per ora, a voi che oggi siete tra i nostri migliori amici, non lo possiamo ancora perdonare!


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