Il flop dei farmaci “no logo” e per convincere gli italiani adesso partono gli sconti

Loading

L’ultima puntata è di pochi giorni fa. L’Aifa, agenzia italiana per il farmaco, ha deciso di obbligare i produttori ad abbassare le tariffe, anche del 40%. Vuol dire meno spese per i cittadini e 800 milioni di risparmio per lo Stato, che darà  meno in rimborsi. Sarà  il rilancio del generico, ancora più economico e dunque più appetibile per i consumatori? «No, così rischiamo il crac, perché molti non sopravviveranno ai ribassi», denunciano i produttori dei farmaci senza brand. Il mercato potenziale delle molecole con il brevetto scaduto in Italia tocca il 42% ma i generici, che in realtà  dal 2005 andrebbero chiamati “equivalenti”, non arrivano al 12% del venduto. Un’inezia rispetto ad altri paesi europei, dove viaggiano in media sul 50% (in Germania si tocca addirittura il 70%). E la differenza di prezzo tra questi medicinali e quelli di marca la pagano tutta i cittadini, che si tirano fuori dalle tasche circa 500 milioni all’anno per assicurarsi prodotti di marca. Le Regioni, infatti, rimborsano il farmaco prescritto dal dottore fino al prezzo del generico, quello che costa in più portare a casa il brand se lo accolla l’acquirente. Ovviamente il cittadino paga tutto da solo quando compra il farmaco senza ricetta, cosa che avviene in un caso su dieci. Come mai siamo così legati ai farmaci di marca? «Il cittadino spesso pensa che in fondo è meglio il prodotto dal nome conosciuto, del resto bastano pochi euro per averlo». A parlare è il farmacologo Silvio Garattini del Mario Negri di Milano. «Il problema è che non ci sono mai stati incentivi a prescrivere i generici e da noi chi produce medicinali brand ha abbassato il prezzo, tenendolo poco sopra rispetto a quello dell’equivalente, cosa che non è successa in altri paesi. Spesso, purtroppo, medico e farmacista non si impegnano per far acquistare il prodotto equivalente. Una soluzione? Abolire il nome commerciale quando scade il brevetto. Se tutti i farmaci avessero il nome del generico ci sarebbe una competizione vera. Comunque sia un risparmio grazie a questi prodotti in questi anni lo abbiamo avuto». In Italia i generici costano di più che negli altri paesi europei, in certi casi anche cinque o dieci volte tanto. Dal 2001, quando sono entrati in commercio, hanno fatto abbassare il prezzo dei medicinali di marca corrispondenti di circa il 55%, tirandosi dietro i produttori di brand. Anche in questo caso molti paesi d’Europa ci sorpassano abbondantemente, con riduzioni fino all’80%. Per arrivare a quei livelli, l’Aifa ha deciso pochi giorni fa una nuova riduzione del prezzo. «Per il cittadini è una cosa positiva – ammette con franchezza il presidente di Assogenerici, Giorgio Foresti – però si tratta di un risparmio generato da una atto dall’alto, non da un aumento delle vendite». Costando meno, questi prodotti saranno più appetibili per i consumatori?». «Oggi in farmacia si spenderà  meno e magari anche domani – prosegue Foresti – Dopodomani però c’è il rischio della scomparsa dei generici di alcune molecole, perché le aziende produttrici chiuderanno a causa della riduzione dei ricavi. Prima avrebbero dovuto aiutarci ad aumentare le quantità  vendute, ad esempio impedendo a chi produce i brand di abbassare anche loro i prezzi subito dopo la scadenza del brevetto».


Related Articles

«Brescia, la verità  fu ostacolata»

Loading

Napolitano in un messaggio accusa «apparati dello Stato»

Sanità , 13,8 miliardi in meno entro 2014: i dati del ministero sui tagli

Loading

Roma – Meno 13,8 miliardi fra il 2012 e il 2014. È questo il conto che le manovre finanziarie del governo Monti (legge di stabilita’, spending review, manovra del 2011) fanno pagare alla Sanita’. Il dato e’ stato fornito oggi dal ministero della Salute in una conferenza per “fare chiarezza” sui numeri. In particolare, si legge nelle tabelle, il decreto 98 del 2011 (la manovra estiva di quell’anno) determina un taglio di 2,5 miliardi nel 2013 e di 5 miliardi nel 2014 al settore.

Homeless, il boom degli invisibili

Loading

In Italia sono circa 50 mila a vivere in strada e nei dormitori, fra loro 8 mila donne La società reagisce all’emergenza ma stenta a organizzare strategie di re-inclusione

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment