La ferita di milano

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La Moratti ha dichiarato che il caso è chiuso, ma ha sottovalutato come, proprio all’interno del suo schieramento, ci sia chi continua a soffiare sul fuoco. Dentro il partito, infatti, agisce una fronda che vorrebbe eleggere comunque in Consiglio comunale il candidato promotore dei manifesti contro la Procura di Milano. Ciò avviene perché costoro sanno bene di poter contare sul consenso del premier, sull’attiva mobilitazione del giornale di sua proprietà  e sull’azione della trimurti “Sallusti-Santanchè-Stracquadanio” che vorrebbe trasformare la candidatura di Lassini in una bandiera da sventolare contro la magistratura ambrosiana. In effetti, la vicenda resterà  come una ferita aperta per l’intera campagna elettorale perché quello non è stato l’atto estemporaneo di uno sconsiderato, bensì la rappresentativa presa di posizione in favore di Berlusconi di un pezzo corposo del partito, che ha voluto dichiarare di essere disposto a seguirlo sulla strada della radicalizzazione dello scontro, secondo modalità  di propaganda e di lotta che proprio a Milano erano appartenute negli anni Settanta alla cosiddetta «maggioranza silenziosa», un movimento moderato ampiamente infiltrato dalla destra radicale e da esponenti piduisti.
Il contrasto tra Moratti e Lassini è effettivo, e mostra il prevalere della parte più intransigente e oltranzista del Pdl, tanto che persino la Lega è costretta, per una volta, a dare prova di moderazione. Tuttavia, non bisogna dimenticare che l’ala istituzionale-moderata e quella movimentista-estremista costituiscono le due facce di una stessa medaglia, forgiata sull’impronta politica della matrice berlusconiana. Questo il Cavaliere lo sa bene e perciò sfodera le armi di sempre per portare l’avversario a combattere sul terreno a lui più favorevole. Anzitutto, personalizza la battaglia contro i giudici, spostando la competizione dal livello locale delle amministrative a una dimensione nazionale in cui si parla di magistratura e non di lavoro, di riforma della Costituzione e non di crisi economica. In secondo luogo drammatizza il conflitto rifiutandosi di sconfessare Lassini perché sa che la pancia populista del suo elettorato va mobilitata offrendo in pasto offese ai magistrati e forzature istituzionali in grado di spezzare l’equilibrio tra i poteri. L’idea di fondo è quella di alzare sempre più l’asticella dello scontro per non parlare degli effettivi problemi della città  e consentire ai cittadini milanesi di esprimere un giudizio su come Moratti l’ha governata in questi anni. Berlusconi, infine, vittimizza la sua posizione indossando i panni seducenti del perseguitato giudiziario capace di resistere a un potere vessatorio e iniquo che, prima o poi, potrebbe colpire ingiustamente chiunque. Per questa ragione ha scelto addirittura di candidarsi come capolista.
Il premier si comporta così poiché teme di perdere Milano, un’eventualità  che non può permettersi nelle condizioni di stallo in cui si trova. Se ciò avvenisse, il governo subirebbe gravi contraccolpi da parte della Lega, che non a caso, già  da ora, sta facendo di tutto per smarcarsi a livello milanese dalla vicenda dei manifesti, auspicando di ricondurre la battaglia per le comunali alla sola dimensione territoriale. Dopo la vittoria parlamentare di Berlusconi del 14 dicembre 2010 si è purtroppo verificata l’ipotesi peggiore per il paese: un esecutivo che non è in grado di governare ed è perciò indotto a radicalizzare le proprie posizioni intorno alle battaglie personali del premier, acconciandosi al suo sovversivismo dall’alto che tende a coinvolgere nella bagarre anche le istituzioni di garanzia come la Consulta o il Quirinale. L’attuale stallo amplifica il vulnus costitutivo del berlusconismo, l’utilizzo privatistico delle istituzioni accompagnato dall’insofferenza verso il bilanciamento dei poteri, il sale di ogni democrazia. In questo contesto anche le posizioni terziste non costituiscono più un fattore di moderazione e di contenimento, ma finiscono per eccitare vieppiù il Cavaliere e il fronte oltranzista dei suoi seguaci che temono la sconfitta e preferiscono polarizzare lo scontro indicendo l’ennesimo referendum sulla sua persona.
Per tali motivi le tensioni di questi giorni sono significative e la battaglia di Milano è importante anche a livello italiano: per Berlusconi significa difendere con le unghie e con i denti la roccaforte del proprio potere economico e simbolico sperando che il vento ricominci a soffiare a favore; per le opposizioni vuol dire cogliere l’occasione per misurare l’intensità  e la durata del tramonto del Cavaliere, proprio là  dove è incominciata la sua avventura, sotto le insegne del Biscione, lo stemma che fu quello dei Visconti, anche loro divenuti da capitani di ventura – per qualche tempo – signori di Milano.


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