Quando un’università  pesa più di un governo

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Anticipiamo parte della prefazione a Come si governa il mondo di Parag Khanna in uscita da Fazi arrivo dei primi telegrammi dall’estero provocò nei governanti europei uno shock futurista, e diede corpo a una profezia che viene opportunamente ricordata in questo libro: «Il telegrafo», si disse allora, «sarà  la fine della diplomazia». Un trauma analogo è stato vissuto in diretta, stavolta dalle opinioni pubbliche di tutto il mondo, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, quando è scoppiata la “bomba” WikiLeaks. Mettendo a nudo migliaia di comunicazioni avvenute tra le ambasciate americane sparse per il pianeta e il Dipartimento di Stato a Washington, il ciclone WikiLeaks sembrò avere distrutto un ingrediente vitale della diplomazia: la riservatezza. Ancora una volta abbiamo sentito profetizzare la morte della diplomazia. Perciò, può sembrare sconcertante che Parag Khanna teorizzi, nientemeno, l’avvento di una “megadiplomazia”. Ma Khanna, che è un cittadino americano nato in India, ha una visione audace del mondo in cui vivremo. La sua “global governance” non si traduce in un impossibile governo globale. Da quando scrisse un precedente saggio sull’avvento di un “secondo mondo” (I tre imperi, Fazi Editore, 2009), che prefigurava l’ascesa di nuove gerarchie post-occidentali, Khanna è sempre un passo più avanti rispetto ai luoghi comuni. È un lucido osservatore dell’impotenza dei governi: perfino del più importante fra tutti, quello degli Stati Uniti d’America. Gli eventi recentissimi che hanno sconvolto il mondo arabo, quella entusiasmante voglia di libertà  e democrazia, insieme con il suo potenziale destabilizzante, hanno dato un’altra lezione di umiltà  a Washington: nessuno aveva previsto il terremoto politico che ha investito il Nordafrica e il Medio Oriente. O per meglio dire: non lo aveva previsto né pianificato nessuno degli attori storici che si muovono sul palcoscenico tradizionale delle geostrategie, cioè governi, diplomazie, vertici militari, servizi segreti, esperti ufficiali. Ma il giudizio cambia se spostiamo la nostra attenzione ai nuovi protagonisti della megadiplomazia come la descrive Khanna in questo saggio. Perché viviamo in un mondo dove gli attori non-tradizionali sono i veri protagonisti delle relazioni internazionali. Tra questi ci sono le organizzazioni non governative, i mass media e le grandi imprese. Ciascuno di noi, se si mobilita come attivista per una causa in cui crede, e unisce le proprie energie a quelle di tanti altri cittadini, può influire sugli eventi mondiali più di un diplomatico tradizionale. Grandi ONG come Transparency International, Medici senza Frontiere, Greenpeace, Oxfam sono delle vere potenze nel mondo di oggi e hanno un peso superiore a tanti governi di piccole nazioni, se misuriamo la loro capacità  reale di influire sulle condizioni di vita di intere popolazioni e di porre le basi per un futuro diverso. Lo stesso si può dire di alcuni poli universitari d’eccellenza, che disseminano idee nel mondo intero: Harvard o Berkeley possono influenzare il futuro del mondo più del governo belga, o a maggior ragione di quello sudanese. (…) Nell’elenco di queste nuove figure, non possono mancare, naturalmente, Google, Facebook, Twitter. Sappiamo quanta parte hanno avuto questi strumenti per consentire ai giovani del Cairo di comunicare fra loro durante la rivolta contro il despota Mubarak. Ecco un altro esempio che rientra perfettamente nella nuova visione del mondo illustrata da Khanna: ci sono delle aziende multinazionali – in questo caso tutt’e tre legate a Internet e basate nella Silicon Valley californiana – il cui impatto sugli equilibri globali è superiore a quello degli Stati-nazione. (…) La stessa WikiLeaks, il cui impatto nelle relazioni internazionali è esploso di recente (contribuendo perfino alla scintilla iniziale della protesta in Tunisia con le rivelazioni sulla corruzione del regime) si può considerare come una ONG sovranazionale che persegue una sua agenda politica; al tempo stesso quando il suo capo Julian Assange è stato messo sotto processo, in sua difesa si è mobilitata un’armata di hacker informatici che ha dato corpo a un movimento globale della società  civile. Queste sono le nuove figure che determinano i giochi nella global governance, i protagonisti di una megadiplomazia sempre meno convenzionale.


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